Pensioni dei giornalisti: un futuro cupo, a meno che…Carlo Chianura si interroga

Pubblicato il 1 Agosto 2016 - 07:28 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni dei giornalisti: un futuro cupo, a meno che...Carlo Chianura si interroga

Pensioni dei giornalisti: lo aspetta un futuro cupo, a meno che…Carlo Chianura (nella foto) si interroga

Pensioni dei giornalisti: li aspetta un futuro cupo, a meno che…Carlo Chianura si interroga, in questo articolo pubblicato anche sul sito di Punto e a capo, la corrente sindacale di cui è portavoce.

Il consiglio di amministrazione dell’Inpgi accelera sulla riforma della riforma previdenziale. E si dà una deadline precisa: non oltre settembre. L’obiettivo è quello di avere un testo approvato dai ministeri vigilanti (Lavoro e Economia) in tempi rapidi e una riforma pienamente in vigore a gennaio 2017.

L’organo di governo della previdenza giornalistica deve tenere conto della situazione drammatica dell’ente, sottolineata di recente dalla relazione annuale della Corte dei conti. A questa si aggiungono le previsioni espresse dagli uffici, secondo le quali l’istituto avrà bisogno sino alla fine dell’anno di una liquidità di circa 90 milioni e di un fabbisogno di cassa per i prossimi anni non inferiore ai 140 milioni annui.

Senza interventi correttivi, riguardanti sia la composizione del patrimonio sia, appunto, profondi correttivi nelle prestazioni, l’istituto rischia di esaurire il suo patrimonio liquido nel giro di quattro anni o poco più.

La consapevolezza di questa situazione è comune. Inpgi Futuro ritiene doveroso contribuire alla ricerca di soluzioni che siano nello stesso tempo eque ed efficaci. Non nascondendo che alcune di queste soluzioni saranno dolorose, dando anzi il proprio contributo di proposte per verificare strade articolate che possano evitare contraccolpi più pesanti sia sui giornalisti attivi che sui pensionati.

Il punto di partenza è la lettera dei ministeri che ha bocciato la parte più significativa della riforma 2015, vale a dire quella che modificava in una certa misura (giudicata evidentemente insufficiente) l’innalzamento della età pensionabile, la rivalutazione dei contributi e soprattutto le clausole di salvaguardia. I ministeri non dicono che bisogna applicare la Fornero, teorizzano piuttosto che Inpgi necessita di misure ancora più drastiche. Pochi hanno colto questo passaggio.

Si può essere più drastici della Fornero solo facendo molto male a chi è ancora in attività o è prossimo alla pensione. Non sarebbe sufficiente, secondo questa lettura, neppure il passaggio secco al contributivo e la eliminazione secca delle clausole di salvaguardia. E francamente non riusciamo a immaginare che cosa potrebbe esserci di peggio di questi due scenari…

In questo senso va il tentativo mio e di Paola Cascella nel Cda Inpgi di ipotizzare scenari creativi ma non crediamo fantasiosi, che agiscano su più versanti con un obiettivo chiaro: evitare la fuga di massa di chi è già oggi in condizione di pensionarsi, dare una prospettiva di fiducia nel futuro non cancellando totalmente la possibilità di anticipare a certe condizioni – ma non subito – la possibilità di lasciare il lavoro prima del previsto.

Abbiamo registrato finora disponibilità all’ascolto da parte della presidente Marina Macelloni e del resto del Cda: vedremo se questa sensibilità potrà trasformarsi in scelte concrete. Con la discrezione che è doverosa in questi momenti, diciamo che le nostre proposte si muovono sulle seguenti linee. Chiediamo che

sia più graduale l’aumento dell’età pensionabile;

sia minore la penalizzazione per le pensioni delle donne;

resti il diritto di andare in pensione con 40 anni di contributi a prescindere dall’età;

la pensione anticipata sia un orizzonte ancora possibile;

non si metta ancora mano alle prestazioni integrative.

Ultimo ma non ultimo: abbiamo chiesto di agganciarci al sistema di flessibilità in uscita attualmente allo studio del Governo, in modo da dare a un giornalista di 63 anni la possibilità di pensionarsi anche se con un ragionevole abbattimento.

Quest’ultimo è un argomento cruciale, perché può segnare un punto decisivo a favore della tenuta occupazionale. E si lega all’altro grande tema su cui si gioca il futuro di Inpgi: la capacità o meno delle parti sociali (Fnsi e Fieg), ma anche del Parlamento e del Governo, di guardare in prospettiva il futuro della professionale giornalistica.

Cerco di spiegarmi con un esempio, riallacciandomi proprio al tema della pensione anticipata. In Italia si evoca da tempo la “staffetta generazionale”: in sé un obiettivo condivisibile anche se contraddittorio rispetto a quello che le riforme pensionistiche hanno prodotto con l’aumento forte dell’età pensionabile. Mettiamo che a un editore convenga l’andata in pensione di un giornalista senior con reddito elevato. Mettiamo che il governo metta a punto un sistema di pensione anticipata che presupponga un certo costo per il sistema previdenziale. Mettiamo anche che è interesse comune aumentare l’occupazione.

La prima domanda è: sono disponibili le parti sociali a raggiungere un accordo che realizzi un automatismo 1:1 tra uscite ed entrate? Cioè: esce un reddito pari a 100 ed entra un reddito pari a 25?

La seconda domanda è: sono disponibili gli editori a finanziare in caso di crisi aziendali i costi di uscita anticipata dei redditi senior? Noi crediamo che se queste due condizioni – automatismo uscite/entrate, presa in carico di costi delle uscite anticipate – si verificassero, Inpgi potrebbe mettere in campo da parte sua misure che favoriscano un vero, e sano, ricambio generazionale.

Certo, ci vuole una certa visione del futuro che confligge con quanto abbiamo osservato negli ultimi quindici anni. Ma abbiamo di fronte l’occasione per riprendere in mano una parte del nostro futuro. E ancora qualche settimana per vedere se le parti sociali comprenderanno l’importanza di una svolta che rafforzi e non indebolisca il contratto di lavoro.