Aliquota bassa fa pochi soldi, se alta scappano. Miraggio euro svizzeri a Natale

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 20 Novembre 2012 - 15:06 OLTRE 6 MESI FA
Accordo Italia-Svizzera per tassare i capitali italiani depositati nelle banche svizzere (Ap-Lapresse)

ROMA – Un regalo di Natale grande come due finanziarie. È stato definito anche così il possibile accordo tra Italia e Svizzera sui capitali portati illegalmente nel paese elvetico. Ma se accordo sarà, perché in realtà i punti da chiarire sono ancora molti, che accordo sarà? La rosa di possibilità è quantomai ampia e i dettagli mai come questa volta saranno decisivi. A seconda di questi potremo avere un accordo che rimpinguerà le casse nostrane o un condono per gli evasori. Quello che per ora è certo è che, nonostante i titoloni un po’ sparati di questi giorni, per l’uno o per l’altro dovremo aspettare almeno fino al 2014.

A riaccendere l’attenzione su un possibile accordo bilaterale tra Roma e Berna è stato l’ambasciatore Oscar Knapp, capo della direzione della segreteria per le questioni finanziarie internazionali del paese elevetico, che ha auspicato la possibile chiusura del tavolo tecnico tra le delegazioni governative entro il 21 dicembre prossimo. Dall’auspicio al titolo “regalo di Natale” il passo è stato breve. Ma la realtà dei fatti è un po’ diversa. Se infatti si riuscisse a chiudere il tavolo tecnico entro fine dicembre, cosa tutt’altro che scontata visto che molti, e molto importanti, sono i punti da chiarire, questo non significherebbe automaticamente accordo concluso perché questo dovrà comunque poi essere firmato in sede politica e quindi ratificato dai rispettivi Parlamenti.

E se in Italia abbiamo l’incognita elezioni, che rimanderà alla prossima legislatura la ratifica di un eventuale accordo, il problema riguarda anche la Svizzera dove l’intesa bilaterale resterebbe congelata in ogni caso almeno per i cento giorni necessari all’assoggettabilità al referendum popolare.

Chiarito che non di regalo di Natale si tratta, almeno non di questo Natale, vale la pena spendere una riflessione su quei dettagli, quei punti ancora da chiarire che sono in realtà la sostanza dell’accordo. Perché se è ormai chiara la volontà di Italia e Svizzera di trovare un compromesso sulla falsariga di quelli stretti tra la Confederazione e la Germania, la Gran Bretagna, l’Austria e la Grecia, che garantirebbe all’Italia un cospicuo introito e agli elvetici la possibilità di mantenere l’anonimato dei loro conti e di uscire dalla lista nera dei paradisi fiscali, il resto della pratica è ancora in alto mare. A partire dalle aliquote, ancora da definire. E aliquote che sono, ovviamente, il cuore dell’accordo.

Come negli accordi stretti tra Berna, Berlino e altri, gli elvetici dovrebbero comunicare alla controparte, in questo caso l’Italia, l’ammontare dei capitali italiani custoditi nelle banche della Confederazione, senza però svelare il nome di colui che li detiene. Su questo monte dovrebbero quindi essere applicati due prelievi: il primo per mettersi in regola col passato, e il secondo, annuale, come tassa sulla rendita finanziaria. E’ del tutto evidente che la modulazione di queste due aliquote significa pressoché tutto, e parlare di accordo senza aver trovato l’intesa su questo somiglia a poco più che una dichiarazione d’intenti.

L’individuazione di queste aliquote rappresenta poi un problema non solo economico, ma anche politico ed etico. Germania e Gran Bretagna, per quanto riguarda il prelievo sul passato, si sono accordate su importi compresi tra il 20 e il 25%, ma noi abbiamo sulle nostre spalle lo scudo che aveva un importo circa 10 volte inferiore ed abbiamo la necessità di trovare un punto d’equilibrio, un aliquota che non sia né troppo passa, di fatto un condono, né troppo alta.

Questo perché un prelievo eccessivamente piccolo oltre a portare pochi soldi nelle nostre casse pubbliche, risulterebbe agli occhi dei contribuenti onesti come un regalo fatto ai furbi, un premio agli evasori. Ma non si può nemmeno rischiare l’opposto perché un prelievo troppo oneroso rischierebbe di far fuggire i capitali ora custoditi in Svizzera in altri paradisi fiscali lontano dal fisco italiano. E poi l’aliquota annuale che, certamente, sarà differente da quella applicata in Italia, ma di quanto? E, soprattutto, di quanto potrà essere diversa per non suonare anch’essa come un premio alla furbizia?

Basterebbe questa incertezza sulle aliquote a far comprendere quanto in alto mare sia l’accordo, ma c’è dell’altro. Innanzitutto il problema del controllo, che sembrerebbe destinato ad essere esercitato direttamente, e solo, dalle banche svizzere. Sarebbero infatti loro a comunicare al fisco italiano a quanto ammontano i capitali italiani da loro custoditi e sarebbero sempre loro ad effettuare prelievo e versamento dell’importo dovuto in base al nuovo accordo. Ma ci si può fidare completamente? Forse sì, ma è comunque un punto ancora in discussione.

Infine una questione che con l’economia ha poco a che fare ma che molto dovrebbe contare dal punto di vista etico e politico. Nelle banche elvetiche sono custoditi diversi “tipi” di capitali, da quello dell’evasore “classico” come il “palazzinaro romano” o il commerciante che mai ha pagato le tasse, fino ai capitali frutto di altro tipo di illeciti come traffico d’armi e droga. In altre parole i capitali della malavita organizzata. Da un punto di vista economico gli uni sono uguali agli altri, ma da un punto di vista etico non potrebbero essere più differenti e da un punto di vista politico non dovrebbero essere trattati allo stesso modo.

L’accordo, che più che la benedizione ha avuto il via da un’indicazione della Comunità Europea che ha giudicato validi, e buoni, quelli stipulati da Germania e Gran Bretagna, corre il forte rischio di somigliare ad un regalo per i furbi. Anzi è quasi una certezza che così sarà perché se non si applica un prelievo pari almeno a quello che si sarebbe pagato in tasse secondo la legge italiana, difficile è definirlo in altro modo. E’ anche vero però che l’alternativa all’accordo è un pugno di mosche per le anemiche case italiane. Tutto si giocherà sulla modulazione delle aliquote e comunque, prima di vedere dei soldi, le nostre casse pubbliche dovranno aspettare almeno un anno.