Antonio Monella graziato, si può sparare al ladro in casa?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 16 Novembre 2015 - 12:12 OLTRE 6 MESI FA
Antonio Monella, Mattarella sdogana "spara al ladro in fuga"

Antonio Monella con Matteo Salvini

ROMA – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha accolto la richiesta di grazia, parziale è bene ricordare, presentata da Antonio Monella, l’imprenditore di Arzago D’Adda da oltre un anno in carcere per avere sparato a un giovane ladro albanese, uccidendolo. La Lega, che già a suo tempo aveva montato sulla vicenda Monella una campagna mediatica chiedendone la scarcerazione, esulta. In Parlamento è stata presentata una proposta di modifica alla legge sull’autodifesa e, seppur in forme diverse, modifiche in questo campo sono chieste da diverse forze politiche, compreso l’Ncd di Alfano che è al governo. In questo quadro l’interrogativo è se, graziato Monella, si possa ora di fatto sparare a chi entra dentro una casa o un negozio.

No, la prima ed ovvia risposta è no, non si può sparare a chi viola una proprietà privata innanzitutto perché la legge ad oggi non è cambiata, ed una grazia presidenziale non fa giurisprudenza. Matteo Salvini e molti leghisti festeggiano letteralmente spiegando che il clima è ora cambiato in una direzione loro più affine, ma anche su questo terreno la verità non è sempre quella urlata negli slogan.

Analizzando il provvedimento del Quirinale si capisce, al di là delle parole di Salvini, che quella concessa da Mattarella non è una grazia tout court, non è un’assoluzione di Monella e del suo gesto. “Monella potrà presto tornare a casa – scrive Ugo Magri su La Stampa -. Ma non si tratta di un via libera alla giustizia fai da te, una legittimazione di ronde, sceriffi e cittadini che impugnano le armi: prendere a fucilate dal balcone di casa i malviventi che tentavano di rubargli il suv, come fece l’imprenditore nel 2006, rimane un reato gravissimo, punito come tale. Contrariamente a quanto sostengono, stranamente concordi, una certa destra e una certa sinistra, l’atto di clemenza presidenziale non lo giustifica minimamente. Prova ne sia che Mattarella ha condonato solo due dei rimanenti cinque anni da scontare dietro le sbarre, quanto basta perché il Tribunale di sorveglianza sia messo nella condizione di applicare (sempre che lo ritenga opportuno) l’istituto dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Se il presidente avesse considerato Monella nel giusto, o addirittura un eroe del nostro tempo come ama presentarlo Salvini, glieli avrebbe scontati tutti e cinque. Ma non è andata così. Fonti vicine al Colle segnalano che la grazia, come si è detto parziale, Mattarella l’ha concessa alla luce di circostanze che la legge nella sua astrattezza non può sempre prevedere in anticipo. All’epoca dei fatti Monella era una brava persona incensurata, si era immediatamente pentito del suo gesto, aveva risarcito i familiari del diciannovenne Ervis Hoxa, durante il processo non aveva mai tentato la fuga o altro, confidando sempre nella giustizia. Inoltre ha già scontato in carcere una parte della pena e, durante la detenzione, ha mantenuto un comportamento irreprensibile”.

Non si può poi sparare perché, come detto, la legge italiana in tema di legittima difesa non è cambiata e rimane uguale a quella in vigore quando Monella uccise il 19enne che tentava di rubargli il Suv. Anche se è vero che è cominciata alla Camera la discussione della proposta di legge leghista in materia, proposta che chiede che chi spara per difendere dai ladri casa o negozio non debba più dimostrare la propria innocenza. La proposta che in sostanza chiede che ci sia sempre la presunzione di legittima difesa per chi protegge la propria abitazione o negozio dai ladri, come spiega Nicola Molteni, volto leghista della battaglia sulla legittima difesa. Tradotto, l’inversione dell’onere della prova. Il Carroccio ha presentato un solo articolo che introduce una norma aggiuntiva all’art. 52 del Codice penale: “Si presume che abbia agito per difesa legittima colui che compie un atto per respingere l’ingresso, mediante effrazione o contro la volontà del proprietario, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di persona travisata o di più persone riunite, in un’abitazione privata, o in ogni altro luogo ove sia esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

I leghisti per bocca del segretario Salvini spiegano che “il modello è la Svizzera, non gli Stati Uniti. Hanno 4 milioni di armi su 8 milioni di abitanti. Non è che si prendano a pistolettate a Zurigo”. Dalla loro ci sono senza dubbio i numeri, che raccontano di come in dieci anni i furti in appartamento siano più che raddoppiati, e il Censis che nel suo rapporto di febbraio 2015 fotografa un vero boom: oltre 250 mila furti denunciati nel 2013. Dati che portano certamente consenso alla causa leghista dentro e fuori il Parlamento. Ma, almeno ad oggi, questo non si è tradotto in una maggioranza parlamentare in grado di appoggiare e approvare una riforma della materia. E anzi fonti vicine al ministro della giustizia Andrea Orlando, in un certo senso titolare delle riforme nel campo, dicono che sul tema il guardasigilli frena.

Frenare perché, come fa osservare ad esempio David Ermini responsabile giustizia del Pd: “Se si seguisse il principio leghista, traducendo in concreto quel che prevede il loro dispositivo, si può arrivare al paradosso di un ragazzo che nella notte di Halloween mascherato entra nel giardino di una casa privata per riprendersi un pallone forzando un cancello…”. Può diventare lecito, legittimo, sempre e comunque legittima difesa, anche sparando a quel ragazzo?

No, attenzione dunque alla propaganda: sparare a un ladro in casa e/o in negozio si può se si è in pericolo ma non per vendetta, rappresaglia, punizione. E sparare al ladro in fuga per impartigli penna immediata e sommaria non si può, neanche se lo dice Salvini.