I cani annusano i tumori. È vero, si può fare, si fa: in Italia Zoe e Zora…

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 5 Febbraio 2013 - 15:49| Aggiornato il 30 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – È il migliore amico dell’uomo ma potrebbe diventare anche il nostro miglior medico. Stiamo parlando del cane che, grazie al suo fiuto eccezionale, si sta rivelando utile anche nella lotta ai tumori. Il suo sviluppatissimo olfatto è in grado, se correttamente educato, di riconoscere diverse tipologie di cancro, come quello al seno o alla prostata, e di avvertire in anticipo l’arrivo di crisi ipo o iper glicemiche. In alcuni casi il naso di Fido viene già utilizzato per scopi medici, ma molte sono le applicazioni in cui potrebbe essere impiegato.

Fin dalla preistoria il cane è stato di grandissimo aiuto per l’uomo, aiutandolo nella caccia, nella pastorizia e persino in guerra. Con il progredire delle società umane il ruolo dei nostri amici a quattro zampe si è andato via via modificando, senza però perdere le caratteristiche originarie e aggiungendone delle altre. Continuano oggi i cani a controllare le greggi come continuano ad accompagnare i cacciatori e difendere le case, ma hanno anche imparato questi discendenti dei lupi a riconoscere droga ed esplosivi nascosti, a trovare uomini finiti sotto valanghe o macerie. Utili a noi in mille modi grazie alle loro caratteristiche biologiche. In primis grazie all’olfatto. E sempre grazie al loro naso prodigioso i cani si stanno rivelando aiutanti più che preziosi anche in medicina. La loro capacità olfattiva, in grado di distinguere una sostanza tra milioni, può far sì che riescano ad individuare in un campione di urine, sangue o sudore, tumori di vario tipo, da quello della prostata, al colon retto, seno o vescica.

Una capacità quella dei nostri amici a quattro zampe che in alcuni casi viene già, con successo, sfruttata. È il caso dell’associazione Medical detection dogs Italia che, a Pergine, in provincia di Trento, grazie al fiuto di due labrador offre un’operazione di screening per il cancro alla prostata. “Hanno un’attendibilità del 90% – sottolinea il presidente Diego Pintarelli alla Repubblica – più di alcuni markers tumorali”. Utili non solo però nell’individuazioni dei tumori, ma anche nell’identificare la tubercolosi dall’espirato o nel prevenire le crisi di alcune malattie. La Repubblica dedica due pagine a “Doctor dog”, così titola e a quanto in Italia si sta sperimentando in merito.

“Stiamo per cominciare ad addestrare cani per prevenire crisi epilettiche o di ipo e iperglicemia – racconta Sabrina Artale, medico e istruttore cinofilo della onlus Aieccs – e i primi risultati sono molto buoni. Le crisi ipoglicemiche sono pericolose, in particolar modo se capitano di notte, ma il cane è in grado di riconoscerle prima del manifestarsi dei primi sintomi e allerta il padrone, svegliandolo se necessario o portandogli direttamente il farmaco. L’addestramento è basato su rinforzi positivi, cibo o giochi, e il cane viene premiato ogni volta che si allerta per un innalzamento della glicemia sopra i 150 o un abbassamento sotto i 60″.

Nella lotta ai tumori proprio l’addestramento è il punto critico perché, se è certo che l’olfatto dei cani è in grado di distinguere una singola particella fra milioni, molto più complesso è per noi umani individuare e comunicare al cane qual è la particella che devono individuare.

“Il motivo è semplice, non si sa esattamente quale odore si deve insegnare ad associare al tumore prostatico – precisa il tenente colonnello Lorenzo Tidu, responsabile della sezione medicina e diagnostica canina del centro militare veterinario di Grosseto – poiché non si tratta di un singolo odore ma di una marcatura di sostanze volatili, probabilmente acidi grassi”.

In altre parole sappiamo che i cani hanno le potenzialità per scovare le particelle rivelatrici, ma ancora noi uomini non sappiamo esattamente dirgli cosa devono cercare.

Le potenzialità sono però talmente tante, e la strada talmente promettente, che uno studio sperimentale è stato avviato dall’Humanitas di Milano in collaborazione con il ministero della Difesa. Uno studio che durerà tre anni e fortemente voluto da Gianluigi Taverna, responsabile della sezione patologia prostatica dell’Humanitas, che trovò l’idea da un caso descritto nel lontano 1989 dalla rivista Lancet. All’epoca Hywel Williams e Andres Pembroke descrissero su Lancet il caso di una donna britannica allertata dal suo cane che continuava ad annusare un neo sulla gamba. Diagnosi: melanoma. Non l’unico caso presente in letteratura medica ma quello che ha ispirato il dottor Taverna.

“Zoe e Zora, i due pastori tedeschi che stanno lavorando al progetto – spiega il tenente colonnello Tidu – sono cani ben addestrati ad individuare stupefacenti o esplosivi ma in quel caso gli odori sono facilmente individuabili. Nel caso del tumore, invece, bisogna insegnare al cane ad identificare un singolo odore in un liquido biologico, tralasciando gli altri che pure ci sono. Il primo passo però l’abbiamo fatto: hanno già memorizzato questa marcatura mostrando di riconoscerla nel 100 per 100 dei casi , anche se hanno segnalato anche qualche campione proposto come sano che stiamo verificando. Successivamente i cani dovranno imparare a riconoscere il campione con il tumore alla prostata – continua Taverna – distinguendolo da altri con infezioni urinarie o altri tipi di tumore. È importante sottolineare che stiamo lavorando in modo molto rigoroso, a temperatura costante, in stanze lavabili a 100 gradi per eliminare qualunque residuo di odori, e in cieco, ovvero l’unico che sa qual è il campione malato è il veterinario, che non entra nella stanza in cui lavorano i cani. Abbiamo già esaminato circa 6-700 campioni, arriviamo a mille per un primo bilancio”.