Cuba, 55 anni di Fidel, Che, Baia dei Porci, Kennedy, Urss e guerra mondiale

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 18 Dicembre 2014 - 13:45 OLTRE 6 MESI FA
Rivoluzione cubana

La copertina del fumetto sulla rivoluzione cubana

L’AVANA – Poco meno di 55 anni, tanto è passato da quel gennaio del 1959 quando Fidel Castro, insieme ai suoi barbudos, entrò a L’Avana. Da allora, un tentativo di rovesciare il governo di Fidel con lo sbarco nella Baia dei Porci, i piani della Cia per eliminare il lìder maximo e, soprattutto, l’embargo americano e la terza guerra mondiale mai così realmente vicina come durante la crisi dei missili.

Mezzo secolo nel quale il rapporto, l’antagonismo tra Cuba e gli Usa diventa paradigma mondiale, perfino mito costitutivo e costituente della sinistra tutta in Europa e perfino parte del più ampio progressismo. Fidel Castro è “Fidel”, il capo guerriero di una rivoluzione sacrosanta per tutti almeno fino al decennio sessanta. Fidel è l’antitesi al corrotto Batista, l’alternativa alla Cuba puttane e gioco d’azzardo, droga e mafia americane che dell’isola avevano fatto succursale.

Quando il mito e l’immagine di Fidel si appannano sotto la polvere di un regime che ancora non appare illiberale ma qualche sospetto lo accende e come in tema di diritti civili, ecco che Cuba è il Che, il Che Guevara. L’argentino che combatteva con Fidel sulla Sierra, che vinse a Santa Clara, che fu ministro a L’Avano, che abbandona la scrivania e va a combattere per i popoli e la rivoluzione in Angola e quindi a morire braccato e tradito in Bolivia. E insieme Cuba, l’isola, lo Stato, l’unico del Sud America dove l’assistenza sanitaria è di prim’ordine così come la scuola, praticamente l’unico angolo nel “cortile di casa” degli Usa dove non comandi un generale o una giunta golpista. Vi sono stati molti anni in cui in quella parte di mondo o Pinochet o Castro. E gli Usa erano Pinochet.

Poi la corrosione, la fatica della rivoluzione cubana, il disvelarsi della mancata democrazia e dell’opposizione e repressione di massa, le fughe di popolo verso gli Usa. E quindi la crisi economica sempre incombente su Cuba, il laccio al collo dell’embargo americano, la sparizione dell’alleato sovietico, lo stento sopravvivere della realtà del regime castrista. Mezzo secolo in cui Cuba è stata per il mondo più di quanto fosse davvero Cuba. Mezzo secolo è passato.

Stavano per finire gli anni ’50 quando il futuro lìder sbarcò sull’isola con un gruppo di appena 82 rivoluzionari. Rifugiatosi sulla Sierra Maestra, Castro riuscì a conquistare il consenso della popolazione e ad organizzare un piccolo esercito in grado di combattere con le forze regolari del dittatore Fulgencio Batista. Il 30 dicembre del ’58 si consumò la battaglia di Santa Clara, decisiva per l’esito della rivoluzione, e le truppe di Batista furono sconfitte. La notte di capodanno il dittatore si dette alla fuga trafugando il denaro delle riserve nazionali e, il 1° gennaio, le colonne ribelli si diressero verso la capitale senza incontrare alcuna resistenza ed entrando a L’Avana l’8 gennaio.

Gli Stati Uniti, l’ingombrante vicino separato dall’isola caraibica da un braccio di mare largo meno di 200 chilometri, fin da subito non fecero mistero di non gradire il cambio di governo. Non armarono, è vero, Batista. Ma il generale era di fatto un loro uomo e l’arrivo al potere di un comunista in piena guerra fredda non poteva ovviamente far piacere a Washington che varò un pesante embargo economico nei confronti dell’isola.

Quando poi L’Avana decise la nazionalizzazione di tutte le aziende americane, praticamente svendute solo pochi anni prima proprio da Batista, anche un presidente passato alla storia come ‘illuminato’, e cioè John Fitzgerald Kennedy, approvò quello che definì successivamente “il più grave errore della sua presidenze”: e cioè lo sbarco della Baia dei Porci. In quell’occasione 1500 uomini, esuli cubani ed agenti americani, sbarcarono sull’isola per rovesciare Castro, ma vennero respinti. Il risultato fu un ancor maggiore inasprimento della tensione ed un quasi automatico avvicinamento di Cuba all’Urss.

Fallita l’opzione golpe, strada seguita dall’amministrazione americana di frequente, specie in America Latina, quando aveva a che fare con governi sgraditi, Cile su tutti, la Cia propose un piano, approvato dalla Casa Bianca, per assassinare Fidel. Piano evidentemente mai realizzato visto che Fidel, seppur anziano e malato, è ancora vivo e vegeto.

Il momento però più difficile nel rapporto tra Cuba e Stati Uniti si ebbe qualche anno più tardi, sulla fine del ’62, quando Washington scoprì che Mosca stava istallando sull’isola batterie di missili nucleari. La crisi, passata alla storia come “Crisi dei missili cubana”, portò il mondo ad un passo dalla terza guerra mondiale e, per alcune settimane, in molti temettero che la guerra nucleare sarebbe stata solo questione di tempo. Gli Stati Uniti non potevano infatti permettere che missili nucleari fossero dislocati a meno di 200 chilometri dalla Florida e, tra le altre misure, misero in atto un blocco navale intorno all’isola. Blocco che fermò le navi con le forniture militari sovietiche. Alla fine però fu proprio Kennedy a sbloccare la situazione offrendo segretamente al Cremlino uno scambio: via i missili russi da Cuba in cambio dell’eliminazione dei missili americani dalla Turchia.

Scongiurata la guerra vera e propria, tra L’Avana e Washington continuò però la guerra economica. Ad eccezione di piccole e temporanee aperture, e con l’embargo Usa mai ritirato e ancora oggi in essere, il rapporto tra i due vicini è rimasto sino a ieri molto, molto difficile.

Barack Obama ha detto di voler porre fine all’embargo entro il 2016, suo ultimo anno di mandato presidenziale. Da L’Avana Castro, Raùl, il fratello di Fidel, ha condiviso la volontà di normalizzare i rapporti tra i due paesi. Una notizia ottima per tutti, come è sempre la caduta di un “muro”, anche se ora il rischio è, per l’isola, di essere “mangiata” dall’enorme e ricco vicino. Quello che la forza non ha ottenuto in 50 anni, forse lo comprerà il denaro in molto meno tempo.