Divorzio all’estero: ecco come si fa. I tre anni di tortura solo in Italia

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 4 Novembre 2013 - 11:30 OLTRE 6 MESI FA

divorzioROMA – Dal 2003 ogni sentenza di divorzio pronunciata da uno Stato membro dell’Unione Europea è automaticamente riconosciuta da tutti gli Stati che dell’Unione fanno parte. Dal 2010 poi ogni  cittadino europeo può chiedere che il suo divorzio sia regolato dalla legislazione di un qualsiasi Stato dell’Unione con cui gli sposi abbiano una qualche connessione. Nonostante questo però in alcuni stati è più difficile divorziare che in altri. E l’Italia è il Paese che più ostacoli crea. Solo da noi, ad esempio, esiste la “tortura” dei tre anni di separazione indispensabili per chiedere il divorzio.

Leggi e regolamenti continentali a parte, una unione legislativa in materie di divorzio e matrimonio è ben lungi dall’essere raggiunta. Le nozze, considerate tema etico e per questo assai delicato, sono infatti custodite e gelosamente regolate in modo diverso da ogni paese dell’Unione Europea. Cessioni di sovranità in materia sembrano persino più difficili da quelle necessarie su temi apparentemente più spinosi come la politica economica o estera.

Accade così che un principio ritenuto generalmente valido nella maggior parte dei paesi europei, cioè il principio che se il divorzio è consensuale non è necessario attendere oltre per formalizzarlo, è pura fantascienza in Italia. In Francia, in Gran Bretagna, in Germania, come anche negli Stati Uniti che dell’Europa non fanno parte, se entrambi i coniugi esprimono la volontà di metter fine al loro matrimonio il divorzio diviene poco più che una formalità. Una pratica semplice e non di oneroso disbrigo. In Spagna poi è allo studio una legge che consentirebbe di divorziare, sempre consensualmente, comodamente di fronte ad un notaio per soli 95 euro.

In Italia invece la musica è assai diversa. Prima di poter chiedere il divorzio i coniugi, tutti, con o senza figli, d’accordo o meno, con amanti manifesti o no devono passare per le forche caudine della separazione. Tre anni obbligatori che, in più, nemmeno si conteggiano dal momento dell’effettiva separazione dei due, ma decorrono dal momento in cui un giudice sancisce che di separazione si tratta. Tre anni che, inevitabilmente quindi, si allungano.

Sfruttando la legislazione europea, e soffrendo quella italiana, da qualche anno è nato un nuovo fenomeno: il turismo dei divorzi. La pratica per cui due sposi, di comune accordo, decidono che essendo il loro matrimonio finito nella realtà, vogliono che anche la burocrazia ne prenda atto. E si recano per questo all’estro, in Romania o in Inghilterra ad esempio, dove sfruttando le interpretazioni della legge possono, con un affitto e una residenza anche fittizi, risolvere la pratica in qualche mese. L’operazione, non particolarmente onerosa, non è però nemmeno gratuita. Costo che si calcola in migliaia di euro.

Proprio la Gran Bretagna però, è notizia di questi giorni, avrebbe intenzione di stanare chi la legge europea ha sfruttato e, proprio con credenziali fittizie, il divorzio ha ottenuto. Presupposto per divorziare all’etero, o perché una legislazione estera venga applicata ad un divorzio “italiano”, è infatti il rapporto con lo Stato straniero. Rapporto che ha la forma della residenza e residenza che, in alcuni casi, viene ottenuta fraudolentemente. Ad esempio siglando un contratto d’affitto per figurare come residente nel paese di cui la legislazione si vuole utilizzare pur non essendovi realmente residenti.

Comunque si concluda la vicenda inglese, quello che è evidente è la necessità di cercare se non di omologare almeno di avvicinare le legislazioni in materia di matrimonio dei diversi paesi membri. Come è evidente l’opportunità di cercare di rendere più conforme alla realtà quella italiana.

Nel nostro Paese da tempo si parla di divorzio breve, eppure non si ha notizia di riforme prossime venture sul tema. Considerando poi alcuni numeri: 53 mila 806 divorzi nel 2011, e il meno 22% dei matrimoni sempre nel 2011 rispetto al decennio precedente, 50% dei matrimoni sanciti solo con “rito civile” al centro Nord e 25% al Sud e, dato più significativo, 69,4% dei divorzi consensuali, è chiaro che, almeno nel caso dell’accordo dei coniugi quasi ex, il purgatorio dei tre anni serve solo a punire chi divorzia.