Draghi e Bruxelles: “Salvate il soldato banca”. Via dall’Italia 322 miliardi

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 31 Maggio 2012 - 15:43 OLTRE 6 MESI FA
La Banca Centrale Europea (Lapresse)

La Banca Centrale Europea (Lapresse)

ROMA – “Rischi di disintegrazione finanziaria”. A mettere  mercoledì nero su bianco questa ipotesi è stata la Commissione Europea. Nel rapporto di stabilità sulla Eurozona c’è scritto che per contrastare questa tendenza alla “disintegrazione finanziaria, è necessario un coordinamento maggiore a livello europeo nella supervisione e nel quadro di gestione delle crisi”, è necessaria una integrazione “più stretta tra i paesi Eurozona nelle strutture e nelle pratiche di vigilanza, nella gestione delle crisi cross-border e nella condivisione degli oneri (burden sharing) procedendo verso un’unione bancaria che sarebbe un importante elemento per completare l’attuale struttura dell’unione monetaria”. Terminologia complessa ma a renderla chiara ha provveduto il giorno dopo Mario Draghi, presidente della Bce, chiedendo, e con urgenza, letteralmente una “unione bancaria a livello continentale, una “garanzia europea dei depositi” e un “fondo recuperi” per i fallimenti bancari. Eccola la possibile “disintegrazione finanziaria”, termine che, anche alle orecchie di chi non mastica economia, suona chiaramente sinistro. Ma cosa dice, in parole povere, la Commissione europea? Dice che le banche hanno, in misura sempre maggiore, in pancia titoli di Stato e che continuano ed aumentano la tendenza a comprare debito degli Stati cui appartengono. E questo è un meccanismo che va spezzato prima che diventi una catena che porta tutti giù, a partire dalle banche.

Mario Draghi, presidente Bce, in un’audizione di fronte al Parlamento Europeo ha detto questa mattina (31 maggio): “Meno di un anno fa il consiglio per i rischi sistemici nell’Eurozona aveva ammonito che le debolezze erano diventate sistemiche. Dopo un periodo di stabilizzazione a inizio anno, più recentemente sono emersi nuovi episodi di volatilità e di incertezza anche se non agli stessi livelli del novembre scorso”. Ciò nonostante l’unione monetaria “continua a fronteggiare sfide importanti” a cominciare dal dover “limitare il rischio di contagio tra i Paesi membri, promuovere strategie macroeconomiche che, assieme al consolidamento di bilancio, promuovano la crescita e l’occupazione” e, infine, “attuare gli aggiustamenti necessari per risolvere i problemi di competitività e gli squilibri tra i paesi membri”. Sfide che – ha ribadito Draghi – “devono essere affrontate e risolte con determinazione e in modo sostenibile”.

Perché le banche comprano sempre più debito lo spiega bene un articolo sul Corriere della Sera di Marco Galluzzo:

“La Banca d’Italia lo chiama in termini statistici contributo italiano alla ‘posizione di liquidità del sistema bancario dell’area euro’. In modo diverso e più semplice, almeno nel caso dell’Italia, è la cifra che riassume quasi tutti i disinvestimenti esteri avvenuti dal nostro Paese negli ultimi due anni e mezzo: oltre 300 miliardi di euro, per l’esattezza, a marzo, 322. E’ un trend di sfiducia, di fuga di capitali, iniziato proprio alla fine del 2009: la crisi dei debiti sovrani aveva appena sfiorato il nostro Paese, ma soprattutto il saldo creditorio fra la Banca d’Italia e la Bce era positivo a nostro favore di 60 miliardi di euro. Si è trasformato in emorragia alla fine dell’estate, con Berlusconi messo sotto accusa dall’impennata dello spread fra i titoli di debito italiano e quelli tedeschi: una ‘fuga’, non fanno mistero di ammettere a Palazzo Koch, ripresa in modo copioso ad aprile di quest’anno, facendo segnare un saldo negativo di 262 miliardi di euro. (…)

Secondo uno degli ultimi report di Citigroup rivolto ai propri clienti, la banca americana prevedeva pochi giorni fa che sia dall’Italia che dalla Spagna, a meno di politiche incisive in ambito politico europeo, partiranno altri 200 miliardi di euro, in termini di disinvestimenti dai titoli di Stato e delle imprese (maggiormente Italia) o dai depositi bancari (molto più nel caso della Spagna). In sostanza dall’estero continua in modo costante la vendita dei nostri titoli pubblici, delle obbligazioni delle nostre imprese, un ‘saldo negativo’ che le ultime emissioni di presiti a basso costo di Francoforte hanno appena tamponato. E si guarda in modo distratto, se non molto scettico, alle misure che si discuteranno a Bruxelles a fine mese, al Consiglio europeo chiamato a rilanciare la crescita, come a discutere dei migliori sistemi per proteggere l’eurozona da un possibile crack. (…) Si potrebbe dire che si tratta di squilibri di liquidità fra istituzioni ‘amiche’, osservando Bce e Bankitalia come parti di un unico gruppo monetario, un sistema che però, sino a due anni fa, era stato in sostanza in equilibrio, e che periodicamente dovrebbe tornarvi. Ma è la prima volta che la zona euro è sottoposta a squilibri di questa entità, con i risultati che sono già sotto gli occhi di tutti. (…) Solo nel mese di marzo di quest’anno, ultimo dato disponibile, sempre nei Bollettini statistici emessi dalla Banca centrale, sono divenuti ‘italiani’ 37 miliardi di titoli di Stato che erano sino a febbraio in mano straniera”.

Come arginare questa deriva verso la “disintegrazione finanziaria” è tema controverso e il Sole 24 Ore propone un suo “manifesto”, una sua guida per tentare di uscire da questa situazione. Al punto primo il quotidiano di Confindustria mette la necessità di creare un governo economico europeo unico. Ipotesi da molti caldeggiata a livello teorico che però ha sempre trovato, almeno sinora, ostacoli insormontabili sulla via della sua realizzazione pratica. Secondo punto l’aumento e l’allargamento dei poteri della Bce. Poteri che le consentano di salvaguardare la stabilità finanziaria dell’eurozona, cosa fattibile secondo il Sole, ma non semplice. Terzo e quarto punto riguardano gli ormai famosi bond europei. Ma se gli “euro project bond”, buoni per finanziare progetti di sviluppo infrastrutturale, hanno possibilità concrete di vedere la luce, molto più difficile è il cammino verso gli “euro union bond”, quelli per intendersi utili a respingere quelli che il Sole 24 Ore definisce “gli attacchi dei mercati”. Quinto e ultimo punto la creazione di un mercato unico bancario, difficile ma non impossibile.

 

La gravità e la durezza della crisi in cui si sta dibattendo da mesi il vecchio continente trova la sua origine anche nell’anomalia della zona euro: mercato con una moneta unica ma con politiche diverse e con una banca centrale a metà. La necessità di nuovi strumenti è evidente a tutti, realizzarli è però tutt’altro che semplice. Per usare le parole di Mario Draghi di questa mattina, la palla passa alla politica, che deve mettere i “tecnici” nelle condizioni di agire. Parlando dei casi di Dexia e Bankia, Draghi ha spiegato che “quando ci troviamo di fronte a drammatiche necessità di ricapitalizzazione e guardiamo alle reazioni dei governi, paesi e autorità individuali, prima di tutto si nota che il problema viene sottostimato, viene fatta una stima, e poi una seconda e poi una terza e così via”. Così “è andata dappertutto, tutti i governi hanno fatto lo stesso e questo è il modo peggiore di farlo”. Alla fine “si arriva sempre alla giusta soluzione ma al costo più elevato possibile. Ho raccomandato a tutti i governi – ha sottolineato Draghi – che è meglio sbagliare dicendo troppo all’inizio che non il contrario, è meglio eccedere in trasparenza che non dover scoprire poi in modo molto più doloroso di aver sbagliato, che è quello che è sempre successo”. I leader dell’Eurozona devono quindi chiarire “come sarà l’Europa fra dieci anni, quale tipo di visione vogliamo avere e quali saranno le tappe per arrivarci, prima si definirà questo cammino meglio sarà per tutti”.