Una legge per far vincere…me! I trucchi elettorali dei partiti

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 10 Luglio 2012 - 14:58 OLTRE 6 MESI FA
Lapresse

ROMA – Bisognerebbe chiuderli in un  Conclave, girare la mandata della serratura e poi nascondere la chiave e impedire che abbiano alcun contatto con il “demonio” che tenta, svia e confonde ogni riscrittura di legge elettorale: la consultazione dei sondaggi. Bisognerebbe impedire ai partiti, sia quelli che in Parlamento ci sono sia quelli che ci andranno al prossimo giro, di “fornicare” con i sondaggi, elettorali appunto. Perché ogni volta che vedono un sondaggio fanno “atti impuri” e cioè vestono e svestono la nuova legge elettorale da scrivere a seconda di dove tira il vento e il sondaggio. Bisognerebbe, ma non si può. E non si può perché tre sono i vizi abituali e capitali dei partiti politici italiani, quelli vecchi, gli anziani, i nuovi e i nuovissimi. Il primo vizio è essere assolutamente certi che chi possiede più redattori capo in Rai, quello vince le elezioni. Da una ventina di anni abbondante succede, per caso ma succede, esattamente il contrario. Ma il vizio rimane, non c’è ombra di disintossicazione. Il secondo vizio è quello dell’essere assolutamente certi che il più furbo a far riforme istituzionali, quello che sorprende e aggira l’altro con una legge qua e una là, quello poi alla fine comanda anche se le elezioni non le vince. E, se proprio non comanda, se proprio ha perso le elezioni, se è stato invece scaltro a far riforme istituzionali, almeno impedisce all’altro di comandare. Il terzo vizio è quello di fare e rifare e tentare di fare e rifare sempre nuove leggi elettorali partendo dall’idea che al legge serve a far vincere. Tizio scrive una legge che fa vincere Tizio, Caio una che fa vincere Caio, Sempronio non è da meno. Quindi non son leggi, son trucchgi e trabocchetti elettorali che i partiti si tendono l’un l’altro e peggio per chi ci casca dentro con tutte le scarpe, nel caso in specie i suoi voti.

Legge elettorale, partiamo da quella che c’è. Stabilisce che la coalizione, l’alleanza di partiti che nel voto per la Camera dei deputati prende un voto in più di ogni altro concorrente ha automaticamente un premio di maggioranza che le consegna e assegna il 55% dei seggi a Montecitorio. Per il Senato non funziona così, per il Senato la legge che c’è stabilisce premi di maggioranza su base regionale, insomma i numeri dei seggi assegnati al Senato a ciascuna coalizione possono contraddire e non poco i numeri della Camera. Camera dei deputato dove torniamo: il 55% dei seggi a chi prende un voto in più. E chi lo può prendere domani un voto in più, chi può mettere in piedi una coalizione potenzialmente più forte delle altre? Sondaggi alla mano la risposta è una sola: Pd più Idv più Sel, Bersani, Di Pietro, Vendola. Insieme possono fare 35/40 per cento. Poco per meritarsi un premio del 55% dei seggi (sia detto tra parentesi ma non tanto: il premio di maggioranza ha un senso solo quando i partiti nel paese sono sostanzialmente due), non è proprio democraticamente rassicurante che con il 35% dei consensi espressi, senza contare gli astenuti, si possa avere la maggioranza del Parlamento. Ma irraggiungibile dai possibili concorrenti: Berlusconi più Maroni e Storace possono fare al massimo 30% per cento. E se provassero Bersani più Casini? In teoria anche 35%, in teoria perché nel caso il Pd perderebbe almeno un quarto dei suoi voti. Che andrebbero a…un quarto di Pd più Vendola e Di Pietro e sinistrine varie quanto fa? Fa al massimo 20 per cento. E se Grillo sfondasse? Fa al massimo venti per cento perché se Grillo non va da solo si sgonfia e non sfonda. Insomma la legge che c’è obbliga a fare colaizioni che altrimenti il premio di maggioranza non si prende e quindi si perde. Ma le coalizioni possibili sono deboli numericamente e soprattutto qualitativamente, sono tutte la promerssa, anzi la garanzia di un governo impossibile.

Un governo Bersani con dentro l’Idv e Sel. E contro Berlusconi e la Lega e Grillo. Un governo al suo interno in disaccordo su tutto, durerebbe sei mesi e sarebbe salutato e punito con spread peggiori di quelli che diedero lo sfratto a Berlusconi. Un governo Berlusconi, Maroni, Storace: Atene si affretterebbe a dire “noi non siamo l’Italia”, le mamme di tutta Europa, perfino le nonne ritirerebbero dalla nostra economia e dalle nostre banche anche panierino e merendine dei bambini. Un governo Bersani-Casini: sarebbe fatto a pezzi e a fette dalla Camusso e da Beppe Grillo e da Berlusconi riportato in precessione. Un governo Di Pietro-Vendola con appoggio esterno di Maroni e Grillo: l’Europa staccherebbe le Alpi dal continente con un  seghetto. Insomma la legge elettorale che c’è ci promette anzi ci garantisce che dopo quello di Monti avremo un governo che non regge.

Per questo bisogna cambiarla la legge elettorale, lo dicono tutti, ultimo Napolitano. Possiamo aggiungere: non è questione di politica che non interessa, è questione di soldi, i nostri soldi. Con un  governo che non regge nel 2013 i nostri soldi se la passano a rischio, il resto del mondo, quando si parla di soldi, all’Italia chiede infatti: che governo avrete nel 2013? Una legge elettorale nuova che possa aiutare l’elettore a scegliere un governo vero e i partiti a formarlo. E come si fa una legge elettorale? Da che mondo è mondo non esiste legge elettorale “buona” o “cattiva”. E da che mondo è mondo una legge elettorale deve cercare e trovare, anzi scegliere un punto mediano tra “rappresentatività” e “governabilità”. La più rappresentativa delle legge elettorali possibili è il proporzionale puro: tanti voti in percentuale, tanti eletti in percentuale. Tutti rappresentati però Camere-condominio senza amministratore e governi spesso debolissimi, corti nel tempo e cangianti nelle alleanze. La più governativa delle leggi elettorali è il maggioritario puro: chi arriva primo nel collegio viene eletto, chi arriva secondo no, figuriamoci il terzo. E se il terzo ha il 25% dei voti su scala nazionale e neanche un collegio dove arriva primo? Il 25% e nessun eletto?! Peggio per lui: è assopigliatutto. Però produce governi che durano e non cambiano e, se necessario, sanno anche decidere cose “impopolari”, cosa impossibile quando si vota e si governa a proporzionale.

Qual è il punto mediano che serve oggi all’Italia? Non chiedetelo ai partiti, questo non lo sanno e non lo vogliono sapere. Il Pdl di Berlusconi, sapendo che stavolta arriva secondo è arrivato a chiedere e suggerire un piccolo premio in seggi per il secondo arrivato. Sapendo che probabilmente stavolta non arriva primo vuole che il premio al primo arrivato sia il più piccolo possibile. Sapendo che sono ormai una federazione rissosa di mini partiti e famiglie quelli del Pdl rivogliono le preferenze così se ognuno fa per sè qualche voto si rimedia mentre se c’è solo il candidato nel collegio il Pdl di una “famiglia” non si smuove per quello dell’altra “famiglia” e viceversa. Sapendo di avere pochi e non in buona salute possibili alleati il Pdl non vuole premi di coalizione. Statisti.

Il Pd di Bersani, fiutando che stavolta arriva primo e sapendo che può allearsi con Vendola, Casini o tutti e due vuole un bel premio grosso per la coalizione vincente. Tanto grosso da permettergli di scaricare Di Pietro dall’alleanza ma non tanto grosso da essere costretto all’alleanza con Vendola e Di Pietro e solo loro due. Il Pd non vuole le preferenze che, dice giustamente Bersani, “riportano a Teangentopoli”. Ma non vuole neanche il premio di maggioranza ai partiti che, sempre Bersani: “Porterebbe l’Italia in Grecia”. Esagerato, porterebbe solo il Pd ad essere obbligato a dire cosa è davvero. Ma dire questo il Pd non può, si squaglierebbe. Pd vince solo se alleato e quindi “obbligato” ad ambiguità politica, prima fra tutte quella di fronte al suo elettorato.

Di Pietro, Vendola e Maroni vogliono una legge elettorale che faccia di ciascuno di loro minoranza sì, ma “di blocco”. L’Udc di Casini vuole le preferenze. Un po’ tutti ma tutti senza dirlo vogliono conservare a se stessi, ai partiti, la possibilità di “nominare” una quota di parlamentari sicuri prima ancora che siano eletti. E poi c’è la storia dei collegi: a seconda di come li disegni secondo consolidata e probabile geografia elettorale pieghi di qua o di là l’esito elettorale. E poi la soglia di sbarramento stto la quale non vai in Parlamento se  non per “diritto di tribuna”, insomma ci via con un pugnetto di parlamentari. La “soglia” che Di Pietro e Vendola vogliono bassissima, Maroni, guarda un po’, la vuole territoriale. Se all’Italia serve oggi una legge elettorale che aiuti l’elettore a scegliere e i partiti a formare un governo credibile nel 2013 serve una legge in cui ogni partito possa essere misurato con chiarezza per quello che è: quindi una dose di proporzionale. Poi la legge deve consentire al partito vincente di formare un governo senza dipendere per ogni passo e respiro dagli alleati, quindi un premio di maggioranza al partito. Poi la legge deve far competere i candidati sul territorio senza che diventi un mercato: quindi collegi e non preferenze. Il tutti si mescola meglio che in ogni altra miscela in un doppio turno: al primo i partiti e i candidati vanno da soli, al secondo vanno i primi tre o quattro o comunque quelli sopra una quota di consensi ottenuti. Dopo il secondo turno si sa con chiarezza chi ha vinto ed è lo stesso meccanismo elettorale che lo premia in seggi e non lo obbliga ad alleanze forzate. E’ quella legge che oggi ci servirebbe, ottima ragione per la quale non sarà la legge che verrà fatta.