Elezioni, primo risultato unanime: cancellata la spending review

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 20 Febbraio 2013 - 16:40| Aggiornato il 20 Luglio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il governo deve ancora essere fatto e il Parlamento ancora eletto, ma su una cosa si è già votato, più o meno all’unanimità. Una prima grande riforma, un primissimo eccellente risultato è già stato raggiunto: la cancellazione della spending review. Ricordate queste due paroline che tradotte significano revisione della spesa? Forse no, visto che ormai nessuno le pronuncia più e sono a dire il vero fuori moda. Ecco, sono state cancellate a larghissima maggioranza e a furor di popolo. Dimenticate anche da chi le aveva nutrite, coltivate e sottolineate come il premier Mario Monti e come chi la sua maggioranza, Pdl e Pd, aveva sostenuto. Ma ora è tempo di campagna elettorale ed questa una stagione in cui non sta bene, non è educato parlare di tagli, è questa la stagione delle promesse.

Scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera:

“Sono due settimane che l’Ansa non fa un titolo di politica sulla spending review . Nel solo 2012 erano stati 1.887, più di cinque al giorno, Natale e Ferragosto compresi. Non esiste pensosa analisi politologica che possa illustrare meglio come i leader impegnati nella campagna elettorale si siano sbarazzati della fastidiosa zavorra di quelle parole che per un anno avevano inchiodato alle sue responsabilità un Paese che troppo a lungo ha vissuto al di sopra dei propri mezzi”.

Nei programmi dei vari schieramenti della tanto pubblicizzata revisione della spesa qualche traccia rimane, simile però più a dei fossili antichi, a delle vestigia di qualcosa che ormai non ha più importanza e comunque ben nascosto tra le righe. Ma se i leader politici hanno felicemente riposto nel dimenticatoio la locuzione in questione, non lo hanno fatto esclusivamente motu proprio. Sulla cancellazione della spending review, forse in maniera inconsapevole, è d’accordo anche l’elettorato. Non serve infatti un fine analista politico e sociale per sapere che l’elettore medio italiano nell’urna premierà chi gli promette meno tasse e più spesa, anche se evidentemente irrealizzabili, a chi gli illustra che bisogna spender meno, bisogna tagliare anche per abbassare le tasse.

Un modo, un abito degli elettori nostrani che i nostri politici ben conoscono. Certo tra loro alcuni arrivano al punto di mandare a casa false lettere di rimborso, gesto che si pone appena un millimetro prima dell’inviare mezza banconota da 50 euro in cambio di un voto, poi arriva l’altra metà, ma nessuno si può comunque chiamar fuori da questa italica abitudine. Anche i candidati più “seri”, persino quel Mario Monti che le parole spending e review aveva in Italia sdoganato, in campagna elettorale è arrivato a dire che l’Imu va rivista. Ma come, da premier la mette e da candidato la vuol rivedere? Singolare. Ovvio che può essere rivista, rimodulata e modificata, ma servono i fondi. E per abbassare le tasse da dove possono arrivare i fondi se non dai tagli alla spesa? La domanda, nemmeno a dirlo, è retorica.

Eppure, nonostante questa evidenza, in campagna elettorale la verità economica è come se venisse capovolta. Ed esempio ne sono il taglio delle Province e i risparmi delle Regioni. Due voci fondamentali, due di quei capitoli che avrebbero potuto produrre dei risparmi da reinvestire nel sociale, o magari buoni per evitare l’aumento dell’Iva. Il primo, l’abolizione delle Provincie, è semplicemente sparito. Scrive ancora Stella:

“La questione delle Province nelle settimane da ‘ultimi giorni di Pompei’ dell’agosto 2011 sembrò essere così pressante da obbligare perfino la Lega Nord, cocciutamente contraria, ad accettare una robusta amputazione e a titolare anzi su La Padania ‘Costi della politica, tagli epocali’. Dov’è finita la soppressione o almeno la drastica riduzione delle Province? Certo, una riga qua e là nei programmi è sopravvissuta. E con Grillo e l’Idv anche Berlusconi, pur sapendo che Maroni vuole abolire solo i prefetti, torna a promettere l’abolizione. Ma se Vendola parla di “superamento delle Province” e Monti di un compito da rilanciare, il Pd nel suo ‘L’Italia giusta’ non dedica al tema (il presidente siciliano Rosario Crocetta del resto l’ha detto: ‘Non cancellerò le piccole Province’) una sola parola. E così Casini, Ingroia o Fini il quale invita piuttosto a ‘rivedere le spese regionali…'”.

Già, le spese regionali, i tagli alle Regioni, non a caso il secondo esempio. Dovevano le Regioni presentare entro il 31 dicembre scorso il loro piano di risparmi, il dettaglio su dove e come avrebbero tagliato 3 miliardi. Hanno fatto saltare la scadenza, al 31 dicembre 2012 nessuno ha presentato niente. Sapevano essere una mossa sicura: Parlamento sciolto, governo addio, elezioni in corso…passata la scadenza, gabbata la spending.  La bellezza di 3 miliardi di euro e che ora fanno bella compagnia a tanti altri nel suddetto dimenticatoio alla revisione della spesa. Ricordate i tagli di Bondi agli ospedali? E la riforma delle pensioni estesa a tutti, proprio a tutti anche ai militari? Sta tutto lì, insieme a tanto altro, nella stanza dell’addio alla review e bentornata spending.