Le elezioni hanno ucciso la spending review: spese salve, esuberi spariti

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 18 Gennaio 2013 - 15:27 OLTRE 6 MESI FA
La protesta dei sindaci contro la spending review del governo Monti (LaPresse)

ROMA – Che fine ha fatto la spending review? Regina indiscussa della vita sociale e collettiva nel 2012 è ora la vera grande assente della campagna elettorale. Passata evidentemente di moda la revisione della spesa è letteralmente sparita dai programmi di Pd e Pdl e ne rimane solo qualche minuta traccia nei programmi di Mario Monti e Oscar Giannino, gli unici due a pronunciare e vergare ancora le due parole magiche: spending review. Non un’assenza che generi dolori e mancanze di tipo affettivo per carità, ma un’assenza che può portare mancanze ben più gravi. E tra le possibili conseguenze della scomparsa basta citarne una per dare la misura di questa assenza: senza la revisione della spesa a rischio è anche il tanto festeggiato e osannato pareggio di bilancio. Della sparizione della spending review dà il triste annuncio Il Sole 24 Ore che fa anche il conto dei miliardi che così vengono a mancare, una quindicina. Saranno coperti come sempre con nuove tasse?

A sparire dalla campagna elettorale sono state le due parole che avevano riempito le bocche e animato le discussioni del mondo politico tutto sino a nemmeno due mesi fa, “spending” e “review”. Mentre è rimasta nei programmi traccia dell’idea che quelle due paroline avevano sintetizzato. Quasi si trattasse di una scelta di vocabolario e di termini più che di sostanza, una scelta fatta forse per marcare le distanze dal precedente governo che le due parole aveva cavalcato. In vista dell’appuntamento del 24 e 25 febbraio tutti o quasi i concorrenti mettono l’accento sulla volontà di diminuire le tasse, ma per far mantenere questa promessa occorrerebbe trovare altrove i fondi. Ed ecco che il concetto di revisione di spesa, risparmio, rientra nei programmi, compresi quelli di Pd e Pdl. Ma più che un vero e proprio rientro è quello del risparmio al massimo un affacciarsi perché nessuno o quasi si scomoda a spiegare come e dove i risparmi verranno fatti.

Una dimenticanza, un’omissione che può però aver conseguenze persino drammatiche. Se la spending review sparisse non solo dalla campagna elettorale, ma anche dall’orizzonte programmatico del prossimo governo, sarebbero per il nostro Paese guai seri. Poco importa come la si vorrà chiamare e nulla conta la scelta delle parole ma al concetto di riduzione della spesa sono appesi non pochi provvedimenti che l’Italia attende.

Come accennato dalla terza fase di tagli alla spesa, quella che spetterà al prossimo esecutivo o almeno dovrebbe spettare, dipendono infatti, almeno in parte, il mantenimento della rotta per rendere strutturale negli anni il pareggio di bilancio già previsto per il 2013 e anche una eventuale manovra correttiva da 7-8 miliardi nella prossima primavera, per ora temuta ma sempre smentita. Una partita che vale la bellezza di 15 miliardi di risparmi da realizzare nel prossimo triennio e una politica di risparmi da cui dipendono le sorti di un eventuale stop all’aumento da luglio dell’ultima aliquota Iva oltre che l’avvio di un processo di riduzione dell’Irpef a partire dalle fasce a più basso reddito.

Senza poi dimenticare il taglio delle Province annunciato e finito, almeno per ora, nel dimenticatoio. Proprio l’accantonamento di questa misura potrebbe affondare la revisione di spesa, essendone una delle voci principali ma, allo stesso tempo, il passare di moda della spending review potrebbe dar nuova vita alle Provincie in una economicamente terrificante spirale. In gioco anche la fase di attuazione del dimagrimento degli organici nel pubblico impiego. Una fetta dei 12 miliardi attesi dalle misure strutturali già varate (cui vanno aggiunti i 3,7 della legge di stabilità da poco approvata dal Parlamento con una configurazione di tagli prevalentemente lineari) potrebbe dunque essere non così sicura. Un’operazione imperniata su un piano ad hoc per la gestione di 7.416 eccedenze in tutta la pubblica amministrazione attraverso un meccanismo di ricollocazione del personale e soprattutto il ricorso a prepensionamenti e mobilità.