WASHINGTON – “Signor presidente, i nemici dell’America vanno fermati. Primi fra tutti i comunisti e poi i Beatles che vengono da noi, prendono soldi e tornano in Inghilterra per denigrare il nostro Paese. Io sono pronto a fare la mia parte e per questo le chiedo di arruolarmi come agente segreto”. Firmato Elvis Presley. Sembra, ma non è, uno scherzo. E’ invece il senso di una lunga lettera che il re del rock scrisse all’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e che un libro in uscita oltreoceano svela.
Il presidente Nixon, passato alla storia più che per la sua politica per lo scandalo Watergate, su indicazione dei suoi consiglieri, ricevette Elvis alla Casa Bianca e, pur non arruolandolo come agente segreto, gli concesse una tessera ad honorem, praticamente una falsa tessera ufficiale, dell’Fbi. Non era la prima che Presley otteneva e, anche se non sconfisse la minaccia rossa e nemmeno riuscì ad arrestare John, Paul, Ringo e George, fermò una montagna di motociclisti ed automobilisti indisciplinati, regalando loro una storia con i fiocchi da raccontare a casa, come giustamente commenta su la Stampa di sabato 17 agostoVittorio Sabadin.
Racconta Vittorio Sabadin su La Stampa:
“Nel dicembre del 1970, a bordo dell’aereo che lo stava portando a Washington, Elvis Presley chiese a una hostess dei fogli di carta intestata dell’American Airlines per scrivere a Richard Nixon una delle più strampalate lettere mai ricevute da un presidente degli Stati Uniti. Lottando disperatamente con la sintassi e ponendo le maiuscole dove capitava, l’idolo dei teenager americani esordiva in modo formale: ‘Caro Signor Presidente, Innanzi tutto vorrei presentarmi: sono Elvis Presley e l’ammiro e Ho un Grande Rispetto per la sua funzione’. Seguivano cinque pagine piene di stravaganti considerazioni politiche sui valori dell’America, minacciati da nemici occulti e determinati: i comunisti, innanzi tutto, ma anche la droga, gli hippies, gli studenti, le Black Panthers e, ultimi ma non meno pericolosi, i Beatles”.
La lettera in questione, rimasta sconosciuta per anni, è tornata alla luce grazie alle anticipazioni del Daily Mail su un libro in uscita. Elvis, il re del rock, voleva fare la sua parte per l’America. Era certo che la sua fama e la sua “professione” lo rendessero l’agente segreto ideale: insospettabile e in grado di muoversi, magari un po’ vistosamente, ovunque nel mondo. E per questo chiese, nero su bianco, di essere nominato agente segreto nel Federal Bureau of Narcotics and Dangerous Drugs, e di poter ricevere la tessera che gli agenti mostravano nei film prima di aprire il fuoco contro gli spacciatori. Richiesta di per sé singolare, se non farneticante, ma ancor più folle alla luce della abitudini di Elvis, abituale consumatore di anfetamine e barbiturici, droghe che lo uccisero nel 1977, al netto dei moltissimi pronti a negare sia mai davvero morto e dei non pochi che ogni tanto lo avvistano, un po’ lui e un po’ gli Ufo, la platea è la stessa.
Evidentemente però il re del rock non vedeva questa leggera incompatibilità tra abituale consumatore di droghe e giustiziere che il traffico di droga voleva eliminare. I suoi nemici, gli obiettivi da colpire erano per lui infatti chiarissimi: la droga, non la sua, gli hippies, gli studenti, le pantere nere, ovviamente i comunisti e soprattutto i Beatles. I pericolosissimi Fab Four, comunisti, drogati e nemici dell’America.
Per convincere Nixon, Elvis spiegò che aveva studiato a lungo l’abuso di droghe e anche le tecniche di lavaggio del cervello dei comunisti. E poi lui era un cantante, nessuno dei nemici dell’America lo considerava un suo nemico, e avrebbe dunque potuto agire senza ingenerare sospetti.
“Appena atterrato – continua Sabadin -, Elvis consegnò personalmente la busta al cancello della Casa Bianca e attese una risposta in albergo, dove si era registrato con il nome di Jon Burrows. Quando i consiglieri di Nixon gli portarono la lettera, nello Studio Ovale si tenne una riunione davvero singolare. Dopo animate discussioni, Egil Krogh, che tre anni dopo sarebbe finito in carcere per il Watergate, suggerì al presidente di ricevere Presley: non poteva fare danni e lo avrebbe aiutato a conquistare i voti dei giovani. Elvis si presentò nella West Wing con un abito nero di velluto e una camicia dal colletto aperto, e con l’abituale cinturone dalla enorme fibbia dorata e decorata con diamanti. (…) I Beatles, disse Presley, erano tra i peggiori nemici, perché venivano negli Stati Uniti, prendevano i soldi e tornavano a Londra solo per denigrare l’America. Nixon gli concesse una tessera d’onore di agente federale e Presley gli mostrò orgoglioso le altre tessere di decine di dipartimenti di polizia che aveva collezionato”.