Fiat, la giustizia in ascensore. Tre sentenze e due verità, e la quarta?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 24 Febbraio 2012 - 14:33| Aggiornato il 25 Febbraio 2012 OLTRE 6 MESI FA

Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli (Lapresse)

POTENZA – Tribunale che vai, giustizia che trovi… In tre sentenze successive due verità opposte. In attesa della quarta, aspettandola come Godot. Quando arriverà sarà quella definitiva, forse. Forse allora coincideranno sentenza e verità e la smetteranno di andar su e giù in ascensore. Perché su e giù in ascensore è andata la giustizia, una volta premeva il pulsante Fiom, l’altra il pulsante Fiat. E’ la storia dei tre operai Fiat di Melfi licenziati nel 2010, poi reintegrati sul posto di lavoro da un primo giudice che giudicava appunto “antisindacale” il comportamento della Fiat e successivamente, un anno dopo, “rilicenziati” da un secondo giudice che giudicava punibile il comportamento dei tre operai. Fino a quando, ieri (23 febbraio), una nuova sentenza, quella d’appello, li ha nuovamente reintegrati. La Fiat ha annunciato che farà ricorso in Cassazione, e ci sarà quindi una nuova sentenza prima di poter mettere la parola fine alla vicenda. Ma anche in quel caso, anche se paradossale, la fine non segnerà la conclusione della storia. Già, perché Fiat non ha mai reintegrato i tre nell’organico, ma solo nello stipendio, e la Fiom già parla di nuove cause per valutare eventuali danni derivanti dalla condotta scelta dall’azienda.

Nei giorni, nelle settimane in cui il dibattito sulla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è pane quotidiano, la vicenda giudiziaria dei tre operai Fiat licenziati nel 2010 diventa particolarmente importante. Esempio di come, da una parte, quest’articolo dello Statuto dei lavoratori possa tutelare da licenziamenti ingiusti e come, dall’altra, rappresenti un ostacolo per le aziende. Se poi l’azienda in questione è la Fiat di Marchionne, quella che ha voluto rompere con Fiom e Cgil e due dei tre licenziati sono delegati sindacali Fiom, si capisce che la storia va ben oltre la somma delle tre vicende umane.

Le legge però, si sa, i giudici la devono sì applicare, ma anche interpretare valutando le situazioni. E accade così che tre giudici arrivino, per la stessa vicenda, a tre sentenze differenti in meno di due anni. O meglio, due sentenze su tre vanno nella stessa direzione, cioè il reintegro dei lavoratori. L’altra invece è stata di segno opposto, assegnando la ragione a Fiat. L’alternarsi delle sentenze è stato poi il peggiore possibile, prima reintegro, poi licenziamento e ora di nuovo reintegro. Su cosa deciderà la Cassazione, a cui Fiat ha già annunciato di voler ricorrere, ogni pronostico è vano.

La vicenda risale al luglio del 2010 quando, nel clima difficile delle settimane della vertenza di Pomigliano alla Sata, era stato proclamato uno sciopero sui carichi di lavoro. La Fiat aveva accusato i tre operai di aver bloccato un carrello a lato della linea dove altri stavano lavorando. E li aveva licenziati ritenendoli dei sabotatori. I lavoratori avevano inscenato clamorose proteste e dopo un mese il giudice del lavoro aveva dato torto alla Fiat disponendo il loro reintegro. In fabbrica però i tre operai non vennero mai fatti entrare. I due delegati vennero inviati nella saletta sindacale per svolgere, volendo, esclusivamente il loro ruolo di sindacalisti. Vennero reintegrati solo nella retribuzione. Pagati cioè per stare a casa. Il 14 luglio 2011, però, un altro giudice accolse l’opposizione della Fiat alla sentenza. I tre, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, vennero così licenziati. Nuovamente. Fino a ieri, quando l’ultima sentenza ne ha una volta ancora ordinato il reintegro.

“Vogliamo solo tornare a lavorare”, hanno commentato i 3 dopo l’ultima sentenza. Forse cercando di riportare entro limiti più piccoli una vicenda che, loro malgrado, è diventata per quello che rappresenta molto più grande di loro. Difficilmente però saranno accontentati. Appare quantomeno probabile infatti che la Fiat, come in occasione del primo reintegro, decida di tenerli comunque fuori dai cancelli aziendali (eccezion fatta per la saletta sindacale), pur pagandoli. E contro questa ipotesi già arrivano minacce di nuove cause per danni.