Fornero cancella tassa sulle colf. Pagano l’ Aspi le aziende, non le famiglie

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 7 Febbraio 2013 - 14:37 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un paio di settimane fa una norma contenuta nella riforma del mercato del lavoro aveva scatenato panico e proteste. Millecinquecento euro da pagare in caso di licenziamento da parte dei datori di lavoro per finanziare l’Aspi, il neonato fondo per la disoccupazione. Da pagare anche quando licenziata è la donna delle pulizie e anche quando il datore di lavoro non è un’azienda ma una pensionata che ha bisogno di un aiuto in casa. Dopo quindici giorni di preoccupato silenzio ieri (6 febbraio) il ministero del Welfare ha fatto sapere che la norma vale solo per le imprese. Salvi quindi pensionati e famiglie che hanno alle proprie dipendenza una baby sitter, una badante o anche solo una ragazza che  stira loro camicie e biancheria e

La norma in questione era contenuta nella riforma del mercato del lavoro. Una norma sensata ma verosimilmente mal scritta. Una norma che imponeva a tutti i datori di lavoro di versare in caso di licenziamento, anche per giusta causa, un contributo che poteva arrivare sino a 1500 euro all’Aspi. Contributo che andava e va sotto la voce di ‘contributo di licenziamento’ e contributo che serviva e serve a finanziare quel fondo che erogherà la nuova indennità di disoccupazione. Norma sensata perché è logico che i datori di lavoro contribuiscano a questo fondo ed è comprensibile che non sia il solo Stato e l’Inps a farsene carico, ma norma mal scritta perché metteva sullo stesso piano grandi industrie e privati cittadini includendoli in un’unica macro categoria che andava sotto il nome di ‘datore di lavoro’. Ed è evidente che 1500 euro hanno un peso assai differente se a pagarli è la Fiat o il signor Rossi.

Teresa Benvenuto, segretario nazionale di Assindatacolf, il sindacato che per primo sollevò il caso, fece notare che “il contributo è previsto in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato successivi al primo gennaio del 2013”. Ed effettivamente così era e così è. La ministra Elsa Fornero è però finalmente intervenuta fornendo la corretta interpretazione della norma facendo sapere che va applicata alle sole aziende, facendo salvi i privati e il famoso signor Rossi.

La norma ora limitata alle aziende prevede che si versino 483,80 euro per ogni anno di anzianità lavorativa maturata. Se l’anzianità è inferiore all’anno vanno conteggiati soltanto i mesi effettivamente lavorati e, in ogni caso, non si possono conteggiare più di tre anni totali, motivo per cui il contributo non può superare i 1.451,40 euro. La quota annua viene infatti calcolata per tutti i datori di lavoro sul 41 per cento del massimo mensile previsto per Aspi, (1.180): quindi 483,80 euro. Cifra che andrà versata in ogni caso, anche quando il licenziamento avvenga per giusta causa e anche se il lavoratore licenziato non farà richiesta del sussidio. Uniche eccezioni le dimissioni e la conclusione consensuale del rapporto di lavoro.