Governo verso Grasso, poi Di Maio. Renzi: “Non credevo mi odiassero tanto”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 5 Dicembre 2016 - 13:41 OLTRE 6 MESI FA
Pietro Grasso

Pietro Grasso

ROMA – Più Grasso che Padoan. Perché Padoan è meglio resti all’economia, perché il governo Grasso è per definizione più “corto” di quello Padoan (l’istituzionale arriva al massimo all’estate prossima, il tecnico in teoria può ingenerare e gestire “l’equivoco” del fine legislatura 2018). Si va dunque verso il governo Grasso, ora. Governo che insieme alla Corte Costituzionale e ai vari vincitori del referendum battezzerà la nuova legge elettorale. Sarà sostanzialmente proporzionale. Quindi alle prossime elezioni, se M5S arriva primo, incarico di fare il governo a Luigi Di Maio. Per il governo di minoranza M5S, di minoranza perché M5S non fa alleati. Oppure governo del quasi tutti contro Grillo, quindi governo “inciucio”. Piaccia o no è questo il futuro politico aperto, anzi spalancato dall’esisto del referendum.

All’indomani del risultato referendario salgono le quotazioni dell’attuale Presidente del Senato come nuovo inquilino di Palazzo Chigi mentre, contestualmente, scendono quelle del ministro dell’Economia. Per il dopo Renzi, dunque, si va verso un governo Grasso. Un cosiddetto governo di scopo che avrà, nel suo mandato, la realizzazione di una nuova legge elettorale con cui il Paese possa tornare alle urne probabilmente già in primavera. Elezioni il cui esito è ancora tutto da decifrare e che non è per nulla detto possa vedere Matteo Renzi tra i candidati premier. Molti gli attribuiscono il “piano” di ripartire dal  40 per cento di Sì come fossero voti “suoi” e farne la piattaforma per un successo elettorale (chi ci arriva al 40 per cento al prossimo voto?). Ma questo “piano” per nulla segreto anzi abbastanza ovvio era fattibile con una sconfitta relativamente mite, con il Sì intorno al 46/48 per cento. Così non è e il “piano” diventa quasi inservibile. Perché, come ha detto lo stesso Renzi, la variabile non messa in conto è il “Non pensavo mi odiassero così tanto”. Già, non così tanto.

Le elezioni politiche però, per quanto ora prossime, non arriveranno prima che il Parlamento confezioni una nuova legge elettorale al posto dell’Italicum che, per ovvie ragioni, ormai non va più bene. E allora, mentre in nottate i leader del fronte del No chiedevano le dimissioni di Renzi, si è cominciato a ragionare e si è aperta la partita per trovare la persona che traghetterà da Palazzo Chigi il Paese sino alle prossime elezioni. In pole era dato l’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, capace di rappresentare una ‘sicurezza’ per Bruxelles e per i mercati. Mercati che però, a differenza di quanto molti temevano, oggi non stanno crollando. Milano è in rosso sì, ma in realtà di appena di uno zero virgola. Stando così le cose le ricadute economiche del voto non dovrebbero toccare la macroeconomia e i risparmi, ma limitarsi, come avvertiva la stampa straniera, a ricadute sul sistema bancario.

La garanzia data da un nome come quello di Padoan diventa allora meno indispensabile e, sul ministro dell’Economia, pesa il suo essersi schierato dalla parte del Sì al referendum. Ecco perché stamattina a salire sono le quotazioni di un governo Grasso. L’attuale Presidente del Senato, oltre ad incarnare la figura di garanzia data dal suo già essere la seconda carica dello Stato, rappresenta infatti anche un profilo più imparziale: non si è schierato né per il Sì né per il No, cosa che lo rende decisamente più ‘digeribile’ anche a chi il No ha sostenuto, da Salvini a D’Alema passando per i vari Meloni, Grillo e Brunetta. Padoan potrebbe così restare a via XX settembre, seguendo il varo della legge di stabilità in discussione in queste settimane e di cui il Paese non può fare a meno e, contemporaneamente, rappresentando anche in questo ruolo una garanzia per i mercati. Se da una parte si va delineando quel che accadrà tra poche ore, al massimo giorni, con la nascita di un nuovo governo più o meno tecnico, molto più nebuloso è cosa succederà alle prossime politiche. Molto dipenderà, è chiaro, da quale legge elettorale uscirà dal Parlamento. Legge che, conoscendo le aspirazioni e le idee di chi il No ha sostenuto, dovrebbe essere fortemente indirizzata verso un sistema proporzionale.

Quale sarà la nuova legge quel che con relativa certezza si può già prevedere, è che la forza di maggioranza relativa sarà il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Potranno i pentastellati governare? Da soli soltanto con quello che si dice un governo di minoranza. O altrimenti dovrà allearsi o almeno avere l’appoggio esterno di un’altra delle forze che a Renzi si sono opposte. E l’identikit più plausibile, per quanto incredibile, è quello della Lega targata Salvini. L’alternativa a questo scenario è, sarebbe quella della famigerata ‘grande coalizione’ messa in scena in diverse realtà europee, Germania in testa. Difficile però che questa realtà composta possa davvero avere i numeri perché, esclusi i 5 Stelle, il fronte del No mette insieme soggetti troppo diversi tra loro ed è difficile immaginare una convivenza per il bene del Paese tra Brunetta e Scotto. Tanto per citarne un paio.

E il Pd? Renzi, caso più unico che raro in Italia, ha mantenuto la parola e, visto il risultato più che netto di ieri, esce di scena. Esce di scena lasciando un partito democratico dove molti brindano alla terza vittoria della sinistra ai danni di un governo di centro sinistra, due volte Prodi (1998-2008), stavolta Renzi. Tanto per capirci, mentre Di Maio annuncia che M5S sta pensando al governo del movimento, D’Alema studia come dare la segreteria del Pd a Speranza.