Governo Letta: reddito minimo ai poveri. E se sono quelli finti?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 30 Aprile 2013 - 15:11| Aggiornato il 28 Febbraio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Ha evocato, il premier Enrico Letta nel suo primo discorso alla Camera, un “reddito minimo per le famiglie bisognose con figli piccoli”. Idea accattivante che ammicca al reddito di cittadinanza da Grillo proposto, ma che proprio questo non è, qualcosa che cosa sia bene non si sa ma che piace anche al centrosinistra e non solo. Come fare infatti a dirsi contrari per principio ad una simile proposta? Difficile, quasi impossibile. Due però i problemi da risolvere per passare dalle parole ai fatti. Primo problema le risorse, cioè dove trovare i fondi per finanziare siffatto reddito. Problema che, come alcuni hanno già fatto notare, il premier non ha nemmeno sfiorato nel suo discorso.

Secondo punto poi, come individuare chi sono i “bisognosi”. Non va dimenticato che siamo il Paese dell’evasione record e, se quel reddito finisse nelle tasche di chi bisognoso è solo nella dichiarazione dei redditi, invece di garantire la pace sociale finirebbe con l’acuire il già diffuso senso di ingiustizia sociale.

C’è “la necessità di dotarsi di strumenti amministrativi per misurare la povertà e i veri bisognosi”, fa notare Carlo Dell’Aringa, parlamentare Pd e collaboratore del premier Letta, riferendosi proprio al “reddito minimo”. Secondo il professor Dell’Aringa poi, uno degli esperti mobilitati da Letta nel 2010 quando pubblicò un volume dove affrontava la questione del reddito minimo, si può avanzare una stima di spesa di 10 miliardi di euro l’anno per rendere universali i sussidi di disoccupazione “ma è un calcolo del tutto ipotetico che va integrato con le attuali norme di sussidio”. Affermazione che testimonia l’esistenza e la concretezza delle due questioni.

Nel suo discorso a Montecitorio il premier non ha detto quali però possono essere le soluzioni. Non un accenno è stato fato a dove trovare i fondi, e non un chiarimento è arrivato su chi siano i “bisognosi”. Non era forse nemmeno il luogo, il discorso d’insediamento, il discorso pronunciato ieri è ed era un discorso programmatico, altre le sedi in cui le idee andranno trasformate in leggi dello Stato. Non resta perciò che fare delle ipotesi.

Per quanto riguarda la copertura dell’assegno minino, a meno che non si vogliano trovare fondi nuovi, e quindi per forza di cosa o tagliando altrove o introducendo nuove tasse, ipotesi che sembra da scartare vista la manifestata intenzione dell’esecutivo di diminuire la pressione fiscale, l’unica soluzione sarà quella di dirottare parte delle risorse destinate oggi alla cassa integrazione e agli ammortizzatori sociali su questa voce. Ipotesi anche questa tutta da verificare, anche e soprattutto in considerazione della volontà espressa da Letta di allargare la platea dei suddetti ammortizzatori anche a coloro che oggi ne sono esclusi, precari in testa.

Se possibile ancor più complesso sarà poi individuare chi avrà diritto al reddito minimo. Intanto andrà chiarito se sarà un reddito da disoccupazione o di cittadinanza, o magari nessuno dei due. Differenza non da poco, il reddito di cittadinanza potrebbe toccare ad esempio a tutti i maggiorenni non occupati, o a tutti quelli che, terminati gli studi, tardano a trovare lavoro. Il reddito da disoccupazione spetterebbe invece “solo” agli iscritti alle liste di collocamento. Probabilmente, nella testa del premier, il reddito in questione non sarà né l’uno né l’altro.

Sarà invece un reddito destinato a tutte le famiglie che, attraverso diversi parametri di valutazione, risultino in difficoltà. E proprio in questa modulazione però il problema dei criteri diventa quasi drammatico. Affidarsi al più ovvio dei criteri, cioè il reddito, è in Italia soluzione assai rischiosa. I redditi dichiarati sono, spesso, lontani e non poco dai redditi reali. Affidarsi quindi alle sole dichiarazioni dei cittadini comporterebbe il rischio, niente affatto secondario, di staccare assegni a favore di disonesti che solo sulla carta sono poveri e bisognosi e, allo stesso tempo, di lasciare a mani vuote chi in difficoltà è realmente ma ha la sfortuna di essere onesto.