Isis paga albanesi che parlano italiano. Missione infiltrati

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 13 Gennaio 2016 - 13:42 OLTRE 6 MESI FA
Miliziani Isis

Miliziani Isis

ROMA – Per meriti della nostra intelligence, per fortuna o forse per caso, almeno sino ad ora, nonostante i proclami, l’Isis e il terrorismo jihadista non hanno colpito in Italia. Ora però due inchieste parallele hanno fatto una scoperta decisamente allarmante. Lo Stato Islamico, rivela l’ultimo report dei servizi italiani citato da La Stampa, sta arruolando nuovi “reclutatori” nei Balcani e soprattutto in Albania. Un lavoro pagato bene, decisamente, visto che per l’impiego vengono offerti 2mila euro al mese. Ma la nota più preoccupante per il nostro Paese è che, tra i requisiti richiesti agli aspiranti jihadisti c’è “ un’ottima conoscenza della lingua italiana”.

“L’obiettivo è infiltrare ambienti islamici italiani, e farlo attraverso insospettabili di nazionalità albanese – scrive Marco Rosso sul quotidiano di Torino -. Lo dicono i dossier dei servizi segreti, lo confermano le inchieste: l’Albania è un problema enorme per l’Italia (e di conseguenza per l’Europa), il nuovo fronte di lotta al terrorismo islamico. A raccontarlo sono due inchieste parallele, che partono dalla rete di contatti che ha aiutato Giuliano Delnevo, il giovane italiano convertito ucciso ad Aleppo nel 2013, a raggiungere la Siria e arrivano a un imprenditore italiano sospettato di trafficare varie sostanze, fra cui un derivato del mercurio, diretto in Siria e destinato a fini bellici. In mezzo ci sono i destini di due vicini di casa opprimenti per Tirana, il Kosovo, che secondo l’ultimo rapporto delle forze Kfor della Nato ospita 900 foreign fighters, e la Grecia, che, falcidiata da una crisi economica e politica che l’ha quasi spinta fuori dalla Ue, non è più in grado (o non ha la volontà) di controllare tutto ciò che passa attraverso i suoi confini”.

Che lo Stato Islamico possa avere e anzi abbia tra i suoi potenziali obiettivi l’Italia non è certo un mistero. Più volte il nostro Paese e Roma in particolare sono stati citati nei messaggi di propaganda del sedicente Califfato e, anche senza bisogno di questo, è evidente che l’Italia fa parte di quel mondo occidentale contro cui l’integralismo jihadista combatte. Senza tener conto poi che a Roma c’è la città del Vaticano, il Papa e tutto quel che simbolicamente questi rappresentano.

In un certo senso stupisce persino che sino ad oggi nulla sia accaduto in Italia. E le ragioni per cui è andata bene finora sono diverse e, tra queste, compare anche la fortuna probabilmente. Certamente compare invece la competenza dei nostri servizi segreti, spesso al centro di oscure vicende sul territorio nazionale, quanto più efficaci specie nelle questioni mediorientali.

Ma non è con ogni probabilità la sicurezza del nostro Paese destinata a durare in eterno, facciamo tra l’altro parte anche noi della coalizione internazionale contro il Daesh, anche se con la formula tutta italiana per cui mettiamo a disposizione gli aerei che però non bombardano. E quanto scoperto dalle due inchieste della magistratura è quanto di più preoccupante si potesse scoprire, anche perché la comunità albanese è ormai molto bene integrata in Italia.

Secondo la procura di Genova, che poco più di un mese fa ha trasferito il fascicolo ai colleghi delle Marche, una rete di reclutatori che fa base ad Ancona, scalo strategico per gli scambi con i Balcani e ideale per affari poco puliti perché fuori dalle rotte principali. Ed è da qui che sarebbe probabilmente passato Giuliano Ibrahim Delnevo.

Mentre è dalle indagini su un imprenditore italiano, che finisce nel mirino delle Fiamme Gialle per i suoi frequenti viaggi in Albania, che viaggia la seconda inchiesta. L’imprenditore in questione è infatti un trafficante internazionale di sostanze tossiche, fra cui ci sono componenti che, per gli inquirenti, potrebbero essere utilizzati per la costruzione di razzi artigianali, destinazione finale, ancora una volta, la Siria. La porta d’accesso è il confine greco, un colabrodo attraverso cui passano facilmente uomini e merci. In questo crocevia si inserisce una rete di attivisti e predicatori islamici radicali, molti dei quali albanesi arrivati dal vicino Kosovo. Sono loro che cercano gente che parli bene l’italiano e l’Albania ne è piena.