Lavoro domenica: se giusta paga e riposo, non è peccato. Buoni motivi per non chiudere negozi

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 12 Settembre 2018 - 13:05 OLTRE 6 MESI FA
Lavoro domenica, negozi aperti

Lavoro domenica: se giusta paga e riposo, non è peccato. Buoni motivi per non chiudere negozi (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Lavorare di domenica non è peccato, checché ne dica il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio e nonostante la Lega non sia seconda nel chiedere penitenza nazionale per il vizio di shopping. Non è peccato a meno che non si viva in uno Stato teocratico, tagliato sulle istanze e sulle esigenze della religione, in uno Stato “la domenica è del Signore”. Salvo poi meravigliarsi degli ortodossi dell’ebraismo che nel giorno del Signore non salgono neanche su un bus o dell’Islam radicale dove la legge del Corano è quella di Stato. Lavorare la domenica non è peccato e neanche tortura o sfruttamento. A patto che questo lavoro ‘straordinario’ sia giustamente remunerato e il riposo settimanale spostato ad altro giorno e non cancellato.

La questione è la giusta paga, il regolare contratto e il riposo lavorativo garantito. Ma della questione vera non si parla. Si fa teatro e ola domenica sì, domenica no. E non si sa se si recita e sceneggia fuori dal vaso per miopia da ignoranza o per congenita incapacità intellettiva di cogliere nel segno, di vedere il reale, l’arrosto e non il fumo.

Fatti salvi (e di certo non sempre lo sono)i diritti dei lavoratori che devono essere difesi a spada tratta dal legislatore, le ragioni per non imporre il blocco domenicale sono molte di più di quelle a favore. E se il governo giallo-verde andrà avanti nella sua iniziativa di imporre la chiusura agli esercizi commerciali nei fine settimana, presto ce ne accorgeremo. Impazza in questi giorni il dibattito sullo stop al lavoro domenicale caro al ministro Di Maio. Impazza nei media e anche nella maggioranza di governo con la Lega la proposta di escludere dal divieto le città turistiche.

E considerando che viviamo in Italia, dove meta turistica è più meno tutto il Paese, già s’intuisce come la chiusura sia e sarebbe una scelta miope. Roma, Firenze, Venezia e Napoli ad esempio esonerate. E allora perché non Pisa e Palermo, o perché solo le città e non i borghi, le località di mare e quelle di montagna. Le Dolomiti non sono meta turistica? Non lo è il Conero con i suoi paesini o non lo sono i borghi toscani? Improbabili soluzioni a parte, quello del lavoro domenicale è un tema in realtà non nuovo. Da sempre infatti ci sono categorie di lavoratori che nel cosiddetto ‘giorno del Signore’ lavorano. Dai medici a chi lavora nella ristorazione, da chi guida autobus, treni aerei e taxi fino a chi lavora nell’intrattenimento in senso lato la domenica, infatti, lavora.

La novità relativamente recente su cui i 5Stelle vorrebbero far marcia indietro è il lavoro domenicale nel commercio, cioè l’apertura dei negozi nei fine settimana diventata realtà nel nostro Paese da una decina d’anni o poco più. Come sottolinea Pietro Ichino su Lavoce.info però, nessuno sarebbe in grado di spiegare perché debba essere vietato o limitato per legge il lavoro nel settore della distribuzione dei beni al consumo e non in quello dei trasporti, della ristorazione, o degli spettacoli. E le differenze di trattamento non ragionevolmente spiegabili sono vietate dalla nostra Costituzione.

Le ragioni contro lo stop sono quindi di natura legislativa sì, ma anche e forse soprattutto di natura economica perché, chiudere di domenica, significa meno posti di lavoro, meno spesa e quindi meno introiti per lo Stato dall’Iva e anzi dirottamento di quella fetta di spesa sull’e-commerce (che certo non chiuderà la domenica) con conseguente espatrio di capitali e spesa. Turisti e italiani infatti, come dimostrano i dati, spendono più nei fine settimana.

I primi perché il week end è una formula classica del turismo e i secondi perché proprio tra il sabato e la domenica hanno più tempo libero. Spesa che non sarebbe cancellata con la norma Di Maio, ma semplicemente dirottata. Legge ed economia dunque contrarie all’iniziativa, ma contraria dovrebbe essere anche la società. A patto naturalmente che sia moderna ed inclusiva. La domenica è infatti il giorno di riposo per i cattolici e i cristiani, ma non per tutti gli altri.

Gli ebrei santificano infatti il sabato mentre i musulmani, come è noto, il venerdì. Senza contare poi tutti quelli che non credono. Perché imporre a tutti, indiscriminatamente, la domenica come giorno festivo? Ovvio è, questo andrebbe difeso e sottolineato, che la domenica essendo il giorno in cui in Italia le scuole e molti uffici sono chiusi, merita un trattamento economico adeguato: quel che si chiama ‘maggiorazione’ e che viene già corrisposto in tutti i settori. Commercio compreso. La domenica pagata di più diventa ed è già, per questo suo bonus, persino ambita tra i lavoratori che così possono ingrassare un po’ la busta paga. Di contro va difesa la libertà di scelta dei lavoratori a cui non può essere imposta la domenica di lavoro o almeno non tutte quelle del mese, garantendo un sistema di turnazione che in buona parte si crea naturalmente con la citata maggiorazione. Infine il riposo che deve essere di due giorni a settimana e che quindi, per chi lavora la domenica, va recuperato e non soppresso.