Matrimonio, separazione: quasi quasi mi faccio un “patto di convivenza”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 13 Novembre 2013 - 12:35 OLTRE 6 MESI FA

matrimonioROMA – “Amore, vuoi firmare con me un patto dal notaio?”. Non una proposta particolarmente romantica ma una soluzione per quelle coppie di fatto cui la legge italiana non riconosce diritti. L’idea è dei notai italiani che, con tanto di open day il 30 novembre, rilanciano la proposta dei “Patti di Convivenza”. Patti che non possono ovviamente cambiare la legge ma possono regolare alcuni aspetti della convivenza di reciproco interesse, come ad esempio la gestione della casa comune in caso di separazione.

“Se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna”, e se la legge non è in grado di regolare alcune materie, altri proveranno a colmare i buchi. In questo caso i notai che, come racconta Francesco Grignetti su La Stampa, tramite il loro consiglio nazionale hanno appena lanciato un’iniziativa: il 30 novembre, sabato, in ogni capoluogo di provincia il locale consiglio distrettuale del notariato terrà le porte aperte ai cittadini per spiegare il senso e i vantaggi dei contratti di convivenza. L’hanno chiamato “Contratti di convivenza Open Day”.

In assenza di iniziative legislative la soluzione, parziale, potrebbe allora essere uno degli appuntamenti che meno sembrerebbero aver a che fare con l’amore, quello dal notaio.

Ma cosa sono i “contratti di convivenza”? Il contratto di convivenza – spiega Grignetti – non sostituirà mai un “Pacs” o un “Dico”. Più banalmente, il contratto di convivenza è uno strumento poco noto che è già previsto dalle leggi e che può servire a una coppia di fatto per regolamentare alcune materie di reciproco interesse: l’acquisto di beni in comune, la gestione delle spese ordinarie e straordinarie, la disciplina dei doni ricevuti, i rapporti economici e patrimoniali, eventuali diritti maturati dalla coppia di fatto. Con il contratto di convivenza si possono poi regolare anche le incombenze e i reciproci diritti in caso di convivenza che finisce e la disciplina relativa alla casa dove si vive. A quale membro della coppia “scoppiata” assegnare l’abitazione in caso di separazione, ad esempio.

Il contratto di convivenza non regolamenta, invece, e non potrebbe essere altrimenti non essendoci la legge, né i diritti ereditari, né i cosiddetti diritti “indisponibili”. Esempio classico, l’educazione e il mantenimento dei figli. Ovviamente, ogni clausola inserita nel contratto di convivenza che sia contraria a prescrizioni di legge è nulla.

Il limite principale del contratto di convivenza, come spiega la dottrina, è nella sua natura atipica. Non può essere impugnato davanti a un magistrato. Nel caso in cui un convivente s’impegni a una data spesa, per dire, e poi non mantenga la parola, è impossibile ottenere dal tribunale il rispetto di quanto previsto dal contratto di convivenza.

Molti quindi i limiti di questo tipo di accordo che, proprio in ragione di questi, non può considerarsi un’alternativa a pieno titolo ai già citati Pacs o simili. Per regolamentare tutti gli aspetti della convivenza, compresi quei diritti “indisponibili” che sfuggono ai patti notarili, servirebbe e serve una legge dello Stato. Una legge che accordi il diritto all’assistenza, che regoli le questioni ereditarie e che regolamenti anche l’educazione dei figli. E questo al netto della questione delle coppie omosessuali perché, i contratti notarili come i Pacs, si possono applicare a coppie gay ma anche solo a coppie eterosessuali che non desiderano sposarsi. E che oggi non hanno soluzione diversa a quella di presentarsi davanti all’altare, religioso o laico che sia.

Non è la prima provocazione dei notai sul tema che, da almeno un anno, richiamano la politica alla necessità di intervenire su questo fronte dei nuovi diritti. In un congresso tenutosi a Napoli nel 2012, il consiglio nazionale del notariato ha addirittura presentato una proposta di legge per istituire i “patti di convivenza”. Nulla di scandaloso. Anzi, a giudizio dei notai è stata proprio la carica di rottura che c’era nei ddl sui Pacs o sui Dico, e cioè la questione delicatissima dei rapporti gay, che ha portato alle guerre ideologiche tra destra e sinistra e quindi, in ultima analisi, alla paralisi legislativa. Con i “patti di convivenza”, i notai proponevano qualcosa di molto più semplice e inoffensivo per la morale e la politica: i patti sarebbero stati sottoscritti dalle parti per regolare i rapporti economici in forma di scrittura privata, sarebbero stati autenticati dal notaio e da quest’ultimo registrati presso un Registro nazionale dei patti di convivenza e all’anagrafe del Comune di residenza, stabilendo le proprie volontà nel caso di rottura della convivenza oppure in caso di morte.

Di questi “patti di convivenza”, come i notai li avevano ipotizzati non se n’è più parlato. E ora i notai tornano alla carica “scavalcando” la politica, cercando cioè di offrire soluzioni che possano superare l’empasse e coprire i buchi legislativi che nel nostro Paese rimangono.