Il partito della pensione, la loro. 350 parlamentari che la rischiano

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 17 Ottobre 2011 - 13:15 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – In Parlamento siede un partito che alle elezioni non si è presentato, un partito che non ha nome ma conta un tra le sue fila un terzo di tutti i parlamentari: il partito della pensione, la loro pensione. A dire il vero non è un vero e proprio partito politico, non ha segretari né struttura, né tantomeno esiste formalmente. Esiste però nella realtà, e forse dovrebbe esistere nelle analisi politiche sulla tenuta del governo Berlusconi. Un partito forte di 350 parlamentari (su 945 totali), 247 deputati e 103 senatori che matureranno il diritto al vitalizio dopo 4 anni e 6 mesi di legislatura, cioè ad ottobre 2012. E se il Governo cadesse prima addio alla pensione.

“Il Governo è debole… Berlusconi è alla frutta” e così via. Dal Transatlantico di Montecitorio alle chiacchiere da bar l’opinione sulla tenuta del nostro esecutivo è più o meno sempre la stessa: “ha le ore contate”. Ma poi, ad ogni voto di fiducia, il Governo passa l’esame parlamentare e va avanti. Ma come è possibile viste le spaccature interne alla maggioranza, i malumori leghisti e i mal di pancia pidiellini? A pensar male si potrebbe credere che la vera “terza gamba” del Governo, la vera forza parlamentare che garantisce, al netto delle nomine e delle promesse del premier, i voti necessari all’ottenimento della fiducia sia proprio il partito della pensione. Soprattutto in futuro, mano mano che il traguardo dei 4 anni e 6 mesi si avvicinerà.

Il partito della pensione è, ovviamente, quella che si definisce una forza trasversale. Fanno parte di questa compagine tutti i parlamentari di “prima nomina”, cioè quelli che per la prima volta sono stati eletti alla Camera o al Senato. E tra questi ci sono pidiellini, leghisti, finiani, democratici, dipietristi e quant’altro, più o meno proporzionalmente distribuiti. Accomunati tutti da quel traguardo dei 4 anni e 6 mesi necessari per ottenere, al compimento del 65esimo anno di età, la pensione da parlamentare. L’idea che per avere diritto alla pensione votino in massa a sostegno di Berlusconi, peregrina in un paese democratico, è fantapolitica, almeno per ora, anche in Italia. Difficile immaginare parlamentari Pd o Idv che votano la fiducia al Cavaliere. Dovrebbero almeno cambiare casacca. A proposito, tra i membri del partito della pensione c’è anche qualche nome noto, uno su tutti: Scilipoti. Ma, per amor di chiarezza, vediamo come sono distribuiti i gli “onorevoli in odor di pensione”: Pdl, 78 deputati e 37 senatori; Lega, 36 e 12; Pd 84 e 34; Idv, 12 e 7; e poi, per quanto riguarda la Camera, Udc 6 deputati, Gruppo Misto 9, Popolo e Territorio 14, Futuro e Libertà 8. Mentre, al Senato, Terzo Polo 4 senatori, Coesione Nazionale 3, Udc – Svp e Autonomie 5.

Certo però, in un paese come il nostro e, soprattutto, in un Parlamento di nominati, è difficile prevedere quello che potrebbe essere il comportamento dei membri del partito della pensione se quello che sembra essere lo scenario più probabile per il futuro dell’esecutivo Berlusconi dovesse concretizzarsi e cioè l’implosione subito dopo Natale. La maggior parte degli addetti ai lavori, ma non solo, prevedono che questo governo arrivi più o meno a Natale e che quindi, a primavera, si vada alle urne. Se così fosse, i “pensionandi” vedrebbero sfuggire il traguardo dei 4 anni e 6 mesi ad un passo dall’arrivo, a 6 mesi scarsi dall’obiettivo. Sarebbe una vera beffa. E quindi se potranno, fino a che potranno, almeno alcuni di loro faranno melina, proveranno a tirarla almeno fino all’estate.

Incontrando su questa strada quel che è il vero e unico obiettivo di Berlusconi: arrivare al 2013. Il partito della pensione in questo gioco avrà qualche ruolo, fa parte a tutto titolo della “Agenda Politica” con le maiuscole. Come il referendum elettorale, come il Decreto Sviluppo. E rilevarlo non è qualunquismo a buon mercato, cedimento allo “stanno tutti lì per la pagnotta”. Sarebbe qualunquismo se questo non fosse un Parlamento dei nominati dai partiti e non degli eletti dagli elettori. Se la legislatura finisce e si vota prima del tempo, anche quello della pensione, normalmente un parlamentare se la può giocare, la carriera, l’impegno e la pensione, facendo politica e tentando di rientrare nella prossima legislatura. Fa parte delle regole del gioco democratico. Ma molti dei nominati sanno che al prossimo giro non ci sarà spazio per loro o perché non hanno elettori e non rappresentano nessuno o perché chi li ha nominati avrà meno posti da distribuire. Quindi reagiscono di conseguenza, non come ceto politico ma come chi sa che, essendo all’ultimo giro, non vuole scendere dalla giostra.