Pensioni: farsi ridare contributi a 55 anni invece di pensione a 66. Sondaggio

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 7 Aprile 2015 - 12:50 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni: farsi ridare i contributi a 55 anni invece della pensione a 66...

Pensioni: farsi ridare i contributi a 55 anni invece della pensione a 66…

ROMA – Affare, miraggio o salto/tuffo in una vecchiaia da vivere in povertà. La novità introdotta nel sistema pensionistico britannico e appena andata in vigore da quelle parti si traduce di fatto in una di questa tre possibilità. Da oggi infatti il Regno Unito offre la possibilità, raggiunti i 55 anni di età, di ritirare in blocco, tutti e subito, i contributi versati durante la propria vita lavorativa. Rinunciando, di conseguenza, alla pensione, quella che si percepisce da una certa età in poi vita natural durante.

Poiché i sistemi pensionistici in Europa più o meno collocano l’età pensionabile intorno o sopra i 65 anni, conviene farsi ridare indietro tutti i soldi dei contributi versati una decina di anni prima della pensione o aspettare dieci anni e passa e poi prendere l’assegno pensionistico mese per mese sperando sia il più a lungo possibile? Poiché a nessuno è dato sapere quanto si campa e quando si muore, nessuno può fare conti facili. E’ chiaro che se muori a 60 anni o anche a 70 ti conviene “monetizzare” i contributi previdenziali a 55 e spenderli come meglio puoi. Ma se campi fino a 75/85 anni, allora un ventennio di pensione vale certamente di più di quanto puoi aver versato in termini di contributi. E allora che si fa? Chi lo sa!

Il dilemma per ora in Italia non c’è. E se ci fosse? Voi come considerereste il farsi ridare i contributi versati a 55 anni rinunciando alla pensione a 66 anni che è la data anagrafica oggi vigente? Un affare, un miraggio o un tuffo nela miseria anziana?

Affare, perché se ben investito il capitale può tradursi in un miglioramento delle condizioni di vita; miraggio, perché il ‘malloppo’ potrebbe rivelarsi molto meno sostanzioso del previsto o, infine, tuffo in una vecchiaia povera perché, se speso male, in questo si tradurrebbe l’azzardo.

In Gran Bretagna è da oggi in vigore la riforma voluta dal governo Cameron anche, se non soprattutto, per dar fiato ai consumi. La novità introdotta prevede che i contribuenti di sua Maestà, quelli che stanno maturando una pensione contributiva, raggiunti i 55 anni di età possano ritirare tutto il montante dei contributi previdenziali annui da loro versati. Una riforma, come è facile immaginare, controversa. Controversa perché se da una parte l’intenzione dell’esecutivo va nella stessa direzione della mossa fatta dal governo Renzi col tfr italiano, dall’altro ingigantendone le proporzioni offre il fianco a rischi da non sottovalutare. Ricordiamo che proprio da aprile in Italia il lavoratore dipendente che voglia può farsi pagare subito le quote maturate del cosiddetto trattamento di fine rapporto, configurando quindi l’alternativa tra il “maledetti e subito” (non necessariamente pochi) e la tradizionale “liquidazione” che si percepisce a fine lavoro. (Ovviamente più sostanziosa e anche meno tassata, però più lontana nel tempo).

Conseguenza automatica del ritiro in blocco dei contributi è, evidentemente, la rinuncia al successivo assegno pensionistico. Ecco quindi che nella versione peggiore possibile delle cose, quella il cui il pensionando spende i suoi contributi in belle macchine o anche investimenti che vanno male, il rischio è evidente ed è quello di ritrovarsi senza nessun mezzo di sostentamento all’arrivo della vecchiaia. Uno scenario non certo felice per il suddetto pensionando ma uno scenario che, su media-larga scala, avrebbe delle ricadute anche sociali. Basti pensare al carico che le famiglie si ritroverebbero dovendo sostenere ‘nonno’. Un peso che se preoccupa una fetta della critica della riforma, in Italia, dove sono spesso i ‘nonni’ a sostenere le famiglie, sarebbe intollerabile.

Se questo è lo scenario peggiore, non è l’unico senza lieto fine. E’ credenza diffusa in Italia tra chi i contributi versa, che questi siano molto più sostanziosi di quanto non siano in realtà. Sono in molti cioè a credere di aver versato di più rispetto alla pensione che percepiranno quando in verità quasi tutte le categorie versano meno rispetto alla pensione che sarà loro pagata. E se a questo si somma che, nella versione inglese della riforma, un quarto del montante sarà esentasse ma i restanti tre quarti saranno sottoposti alla tassazione ordinaria, ecco che anche con un investimento accorto i conti rischiano di sballare. In altre parole un ‘bottino’ più magro di quanto ci si aspettasse, più magari la felice ipotesi di una vita lunga, rischiano di tradursi anche senza bisogno di esser buttati in vacanze ed extra vari, in una vecchiaia povera.

Certo, è vero anche che la possibilità di ritirare una discreta somma a 55 anni, può rivelarsi un affare. Un investimento felice può rendere più di quanto si sarebbe maturato per la pensione; l’avvio di un’attività può essere un altro modo per affrontare la vecchiaia; e può consentire di riorganizzarsi la vita dove questa costa meno o in paesi dove l’economia è in crescita.

Il governo inglese invita i lavoratori a “riflettere bene e a non agire d’istinto”: anche perché se tutti decidessero di ritirare il “malloppo” la tenuta del sistema previdenziale britannico potrebbe essere messa a rischio.

E in Italia, cosa accadrebbe? Con la possibilità di avere il trattamento di fine rapporto prima del tempo, si è offerta ai lavoratori una possibilità analoga a quella inglese, anche se su scala ridotta. Come questa possibilità verrà usata dai contribuenti italiani è ancora presto per dirlo, ma anche nel nostro Paese la tassazione a cui il tfr viene sottoposto al ritiro anticipato, ordinaria, rischia di trasformare l’affare in un’occasione persa. Comunque pensateci un po’ anche voi e dite la vostra: un affare, un miraggio o un tuffo nella vecchiaia povera riprendersi a 55 anni i contributi previdenziali e rinunciare alla pensione a 66?

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