Presi 2,2 miliardi, spesi 579 milioni. Ma i partiti non mollano un euro

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 11 Aprile 2012 - 16:09| Aggiornato il 18 Aprile 2012 OLTRE 6 MESI FA

Lapresse

ROMA – Dal 1994 al 2012 lo Stato, tutti noi, abbiamo versato ai partiti politici l’astronomica cifra di 2 miliardi 253 milioni 612 mila 233 euro. Loro, i partiti, nello stesso lasso di tempo ne hanno spesi 579 milioni 4 mila 383. Ergo, 1 miliardo 674 milioni 607 mila euro, li hanno incassati senza un perché. Già, perché i soldi pubblici li hanno incassati alla voce “rimborsi elettorali”, ma il rimborso è, per definizione stessa, la restituzione di una somma spesa. Quello che eccede quella somma lo si può chiamare in molti altri modi, ad esempio finanziamento, ma non certo rimborso. Basta quindi la semplice operazione aritmetica di sottrazione di quanto speso dai partiti da quanto dai cittadini loro elargito, per capire che quello che serve ora, per dare un minimo di credibilità alla politica, non è una riforma, soft e lenta, dei controlli su come i partiti spendono, ma un taglio netto degli euro che loro incassano. Non è tempo di mezze misure né di rimandi. Quei soldi vanno diminuiti, da subito, a partire dalla prossima tranche di “rimborsi”, oltre 100 milioni di euro, che i partiti incasseranno a fine luglio.

Questo pomeriggio (11 aprile) i tecnici della maggioranza, Rocco Crimi e Massimo Corsaro per il Pdl, Benedetto Della Vedova per Fli, Giampiero D’Alia per l’Udc, Antonio Misiani e Gianclaudio Bressa per il Pd, si incontreranno per affrontare il nodo dei soldi pubblici ai partiti, divenuto irrimandabile dopo gli scandali in casa Margherita e Lega. Nel tentativo di chiudere in fretta su un testo di massima. Un testo che però si prevede “al ribasso”. Solo in futuro infatti dovrebbe essere affrontata la questione della democrazia interna, chi e come decide come spendere, e della quantità dei rimborsi elettorali. Per ora non sembra esserci alcuna intenzione di decurtare l’entità dei finanziamenti, piuttosto si penserà a chi e come affidare il controllo dei bilanci dei partiti. Bilanci che ora sono di fatto senza controllo alcuno, cosa evidentemente insostenibile, anche se prima di controllare come vengono spesi, bisognerebbe prima occuparsi di quanti soldi vengono ai partiti elargiti. I partiti vogliono fare da soli, l’idea del decreto non gli piace, anche se in questo caso l’urgenza sembra esserci tutta. Non gli piace perché li esproprierebbe del loro ruolo e, soprattutto, dei loro soldi. A loro non piace, ai cittadini piacerebbe.

Se non bastasse l’aritmetica poi, anche l’Europa ha sentito la necessità di sottolineare come la nostra legislazione in materia di soldi ai partiti politici sia poco seria. La situazione, secondo il Consiglio d’Europa, è grave ed è “urgente” porre rimedio. Il documento è stato elaborato e reso noto dalla commissione Greco (Groupe d’Etats Contre la Corruptione, il braccio anti-corruzione dell’organizzazione paneuropea) e sottolinea che “la maggiore debolezza” del sistema sta nei controlli. Il ruolo che i cittadini possono svolgere è “molto limitato” – si legge – e quello esercitato dalle autorità pubbliche è “molto frammentato, più formale che sostanziale”. Così frammentato che, come scrive Luigi La Spina su La Stampa, “per oltre due terzi, i partiti incassano soldi che non hanno una documentazione, verificata e credibile, valida a confermare lo scopo di effettivo rimborso elettorale. Anzi, per la stragrande maggioranza dei casi, non esiste alcuna documentazione. Insomma, prendono dai contribuenti italiani 100 e ne spendono correttamente solo circa 33”. E la stima fatta da La Spina è persino per difetto, i dati pubblicati da Repubblica parlano di un 75% del totale dei soldi incassati privo di documentazione.

Il giudizio europeo non tiene poi conto di un aspetto peculiare della nostra storia politica e fondamentale, ed è giusto che non lo faccia visto che si deve limitare per ovvi motivi ad un commento “tecnico”: la vera e propria truffa propinata agli italiani che, con un referendum, avevano bocciato e cancellato il finanziamento pubblico dei partiti. Votazione ottenuta sull’onda emotiva di Mani Pulite, vero. Come è vero che i partiti non possono vivere senza denaro pubblico (anche se altrove lo fanno). Le forze politiche così, con un espediente meschino e tanto sfacciato da apparire persino provocatorio nei confronti del rispetto che si dovrebbe avere per i cittadini in una democrazia, l’hanno, di fatto, ripristinato. Neanche a dirlo in forma molto più generosa che in passato. E l’hanno ripristinato definendolo “rimborso elettorale”, peccato che non sia un rimborso e peccato che non sia assolutamente legato a quanto i singoli partiti hanno speso per le campagne elettorali. La legge prevede che ogni forza politica incassi tot euro per ogni voto ricevuto. In altre parole chiunque di noi potrebbe candidarsi e non fare campagna elettorale, tanto riceverebbe comunque i soldi dei rimborsi.

Scrive ancora La Spina: “Il rispetto per la volontà popolare imporrebbe l’ossequio al risultato del referendum, cioè l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Ma pretenderlo, in Italia, sarebbe come pretendere l’impossibile. Si può chiedere, invece, come minimo risarcimento ai cittadini, almeno il dimezzamento di questa “imposta forzosa”, con il controllo, da parte di una autorità estranea a qualsiasi influenza politica, di come questi soldi vengano usati. I partiti devono uscire da una condizione unica tra le associazioni italiane, quella dell’assoluta imperscrutabilità dei loro bilanci e dell’assoluta insindacabilità dei loro statuti e delle regole di democrazia interna. Prima di cambiare la Costituzione, sarebbe meglio applicarla, perché su questo tema la nostra Carta fondamentale è del tutto disattesa”.

Prima ancora del controllo e della Costituzione si dovrebbe rispettare in verità la lingua italiana, e parlare di rimborsi quando di questi si tratta, usare il termine “rimborso” per descrivere le astronomiche cifre che i partiti incassano, viene definito in italiano “raggiro”.

Repubblica si è presa la briga di andare a vedere quel po’ di cifre che la Corte dei Conti ha in mano, poche perché, come detto, per lo più i soldi vengono girati ai partiti senza documentazione che ne giustifichi la ragione. Ed ha preso in considerazione i cinque principali partiti – Pdl, Pd, Idv, Udc, Lega Nord – e quanto hanno speso e incassato per le ultime politiche, quelle dell’aprile 2008.

Al partito di Silvio Berlusconi, in base ai voti ottenuti, spettano per quell’unica tornata elettorale oltre 19 milioni di euro per la Camera e quasi 22 milioni per il Senato: il totale, da corrispondere in cinque rate annuali, è di 206 milioni 518 mila euro. A pagina 70 della sua relazione la Corte dei Conti dice che le spese dichiarate per quelle elezioni, e controllate dai magistrati, ammontano a 68 milioni 475 mila euro. Da aggiungersi ai 437mila spesi per la circoscrizione estero. Quindi, è stato speso poco più di un quarto di quello che viene incassato. Le cose non cambiano per il Pd. Al Partito democratico spettano, dal 2008 al 2013, 180 milioni 231 mila euro. Il partito di Pier Luigi Bersani ne ha spesi, per le elezioni, molti di meno: 18 milioni 418 mila. Francesco Belsito, per la Lega Nord, aveva a disposizione 41 milioni e 384 mila euro per le politiche del 2008, avendo speso solo (questo ha potuto verificare la Corte) 3 milioni 476 mila euro. L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro ha diritto a 2l milioni 658 mila euro avendone spesi 4 milioni 451 mila. L’Udc prende in cinque anni 25 milioni 895 mila euro. Ne ha spesi – è il partito per cui c’è meno differenza – 20 milioni 864 mila. (…) Di tutti questi soldi, l’ultima rata è ancora da versare e dovrebbe arrivare alla fine di luglio. Sono poco più di 100 milioni per le politiche del 2008, cui però bisogna sommare i soldi che i partiti prenderanno anche perle ultime regionali ed europee. Solo i cinque maggiori incasseranno così 166 milioni e 436 mila euro. Il Pdl attende 68 milioni, il Pd quasi 58, l’Udc e l’Italia dei Valori poco più di 11 milioni, la Lega quasi 18”.

Bersani, segretario di quel Pd che si vanta di essere l’unico ad avere un controllo esterno sui propri conti, ha detto: “Noi siamo disponibilissimi e intenzionati a rivedere il sistema del rimborso elettorale ma questa discussione richiede dei tempi e io non accetterei che in attesa di questi tempi ci si possa ristrutturare casa coi soldi del partito. Io voglio immediate misure per il controllo”. Bloccate la tranche di luglio.

Mentre Anna Finocchiaro, capogruppo Pd in Senato, facendo riferimento al modello all’americana voluto dal Pdl per i contributi dei privati, con tanto di detrazioni fiscali, ha avvertito: “stiamo attenti perché i partiti devono poter contare su risorse certe, altrimenti la politica resterà esclusiva dei Paperoni”. Gli ultimi 20 anni di Berlusconi dovevano essere evidentemente l’eccezione che conferma la regola.