Presidi contro genitori vigilantes. Le chat tribunali e gogne

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 11 Ottobre 2016 - 15:01 OLTRE 6 MESI FA
Whatsapp: alt presidi chat di classe dei genitori

Whatsapp: alt presidi chat di classe dei genitori

ROMA – Presidi contro genitori vigilantes…su Whats App. ‘Classe IIB’, oppure ‘I genitori della IIIA’ o, ancora, ‘I bambini della VC’. Con piccole variazioni sul tema in quanto a titolazioni fioriscono, da Nord a Sud, i gruppi WhatsApp creati dai genitori dei ragazzi, più che altro bambini, che frequentano le scuole. Gruppi nati con i migliori intenti e, sia chiaro, utilissimi per lo scambio d’informazioni pratiche come i compiti del giorno dopo, gli orari dei ricevimenti degli insegnanti e simili.

Ma gruppi che più o meno involontariamente si trasformano sempre più spesso in amplificatore delle più immotivate e basse preoccupazioni genitoriali sino a diventare piccoli tribunali pubblici e gogne virtuali che i problemi, invece di risolverli, alla scuola li creano. E creare problemi alla scuola significa crearne anche a chi la scuola vive, vale a dire gli alunni.

L’allarme arriva ora dai presidi costretti, sempre più frequentemente, ad intervenire per placare liti fra i genitori o feroci polemiche contro gli insegnanti nate proprio in questi gruppi e il più delle volte montate sul nulla o su un fraintendimento. “La comunicazione corretta fra insegnanti e genitori avviene tramite diario, e lo scambio di mail e telefono cellulare può essere accettato solo fra insegnanti e rappresentanti di classe, per informazioni urgenti”, si è sentito in dovere di mettere nero su bianco Mario Uboldi, dirigente dell’istituto milanese Giovanni Pascoli. “A volte gli insegnanti provano a fare da moderatori – racconta – . Ma non va bene: rischia d’innescarsi un meccanismo ancora più pericoloso”. Questo perché, dicono i presidi, “le chat di classe hanno una pericolosissima risonanza, questioni banali possono diventare problemi gravi perché sempre più genitori scrivono con leggerezza e non risparmiano insulti”.

Laura Barbirato, preside del comprensivo Maffucci di Milano, ha addirittura convocato un’assemblea ad hoc sul tema. “In chat – spiega – questioni nate dal nulla possono trasformarsi in problemi enormi. Sono una cassa di risonanza micidiale e pericolosa: in tanti scrivono con leggerezza, senza riflettere sulle conseguenze”. E così, con leggerezza, si scrive dell’insegnante che ‘oggi ha risposto due volte al cellulare durante la lezione’, una cosa che non va bene, da non fare. Ma a parte che sarebbe interessante sapere quanti dei genitori che scrivono dei telefoni dei maestri non rispondono al loro di cellulare quando sono in ufficio. Ma cosa ben peggiore nelle chat spesso con simili incipit si avviano, si avvitano e si montano degli allarmi ingiustificati. Perché è vero che un’insegnante che passa il suo tempo al cellulare è un’insegnante che non fa bene il suo lavoro, ma può capitare a tutti, insegnanti compresi, di aver un giorno un motivo ottimo come un figlio che fa un esame a scuola o un genitore che ne fa uno in ospedale per rispondere alle chiamate.

Meccanismo che si ripete identico anche sui ragazzi, che si tratti di pidocchi, del bambino con delle difficoltà o di quello violento che ‘ha tirato il righello a mia figlia, e non è la prima volta’, si trasformano gli alunni magari semplicemente vivaci in mostri pericolosi per la società che vanno allontanati o in untori da cui stare alla larga e, a buon bisogno, da additare come diversi e pericolosi.

Dal macro al micro, nulla di nuovo sotto il sole. Quello che accade nelle chat scolastiche capaci di generare miti e far degenerare rapporti e situazioni assolutamente normali o comunque facilmente risolvibili, è la replica esatta di quel che avviene, su scala maggiore, nel web e sui social network, dove persino delle notizie assolutamente e provatamente false riescono ad ottenere diritto d’esistenza e trovano chi gli crede.