Casa Monaci, a sua insaputa… Grande elettore al posto di Renzi

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 17 Aprile 2013 - 15:17| Aggiornato il 22 Gennaio 2023 OLTRE 6 MESI FA

SIENA – Chi credeva che acquistare e possedere una casa a propria insaputa fosse prerogativa dell’ex ministro Claudio Scajola dovrà ricredersi. Sono evidentemente distratti i nostri politici, o almeno alcuni di loro. Spunta infatti un altro nome nella categoria dei proprietari di case inconsapevoli, e si tratta ovviamente di abitazioni gran valore ma pagate come un monolocale, e questo nome è quello di Alberto Monaci.

Qualcuno forse lo ricorderà, probabilmente non per sue brillanti iniziative o battaglie degne di nota, ma perché è quello stesso Monaci che ha “soffiato” il posto di grande elettore toscano a Matteo Renzi. “Non ho fatto nessuna telefonata, chiedetelo alla Telecom” ha ironizzato Pier Luigi Bersani rispondendo alle accuse che fosse stato lui, da Roma, a voler tenere fuori il rottamatore dall’elezione del nuovo Capo dello Stato. Visto il pedigree di Monaci sarebbe stato forse il caso però che una telefonata il segretario l’avesse fatta, magari non per Renzi, ma almeno per tenere Monaci il più lontano possibile dall’immagine del Pd.

Racconta Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, e lo racconta forte non solo della sua competenza e delle sue informazioni, ma anche di una sentenza della magistratura che gli dà ragione e conferma la versione dei fatti da lui riportata già in passato e messa in dubbio da una querela presentata da Monaci, che il novello grande elettore, ex Dc, fu colui che si occupò della dismissione del patrimonio immobiliare senese della democrazia cristiana. In quel patrimonio figuravano lotti più e meno pregiati. Uno di quelli di maggior valore era la sede dell’allora suo partito: un appartamento su due piani con loggiato in un antico edificio a ridosso di piazza del Campo. Immobile di gran pregio e di alto valore economico, venduto però a soli 570 milioni, di lire, cioè appena 294 mila euro. Fin qui poco male, il danno fu al massimo per la Dc e anzi, le casse democristiane all’epoca piangevano e dovevano far fronte a molte spese, tra cui i Tfr degli ex dipendenti.

Ma non finisce ovviamente qui, anzi, il bello, o il brutto, deve ancora arrivare. Immaginate chi comprò quell’immobile, chi fece quel clamoroso affare? Alberto Monaci? No, troppo banale e comunque non avrebbe potuto farlo a sua insaputa. Il prestigioso appartamento fu acquistato dalla signora Anna Gioia, fisioterapista col fiuto immobiliare evidentemente ma soprattutto consorte del nostro uomo. Consorte e madre delle di lui due figlie. Evidentemente,  a voler esser aulici, una furbata priva di stile.

Manca però la ciliegina sulla torta per completare l’affresco. Quando la simpatica vicenda venne fuori Monaci si giustificò dicendo “che aveva fatto tutto la Gioia e che lui non sapeva nulla”. La quale signora Gioia querelò Il Corriere della Sera che aveva pubblicato gli estremi della vicenda, chiese 100mila euro di danni e perse la causa.

Verosimile la ricostruzione fornita da Monaci, quella della “casa insaputa”? No, ma poco importa. Quello che più importa è che questo è il nome che il Pd, o almeno la sua nomenklatura locale, a prescindere da Renzi, ha deciso di portare a Roma affidandogli il compito di eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. Possibile che in tutta la Toscana non ce ne fosse uno con meno scheletri nell’armadio? E poi ci domandiamo come mai Beppe Grillo raccoglie voti a palate e come mai i politici vengono messi tutti nello stesso calderone, bollati come parassiti, disonesti e comunque il peggio della nostra società. Anche questa, come tutte le generalizzazioni, è ovviamente errata. Premiare uno con la storia come quella di Monaci tende però, inevitabilmente, a renderla un po’ meno sbagliata e certamente molto meno contestabile. Scrive Stella di Monaci:

“Presidente del Consiglio regionale, senese, dipendente del Monte dei Paschi in pensione, diccì da sempre, deputato per cinque anni nella I Repubblica, fratello di quell’Alfredo già membro del CdA dell’istituto, vice-presidente della Fondazione Sansedoni delegata ad amministrare gli immobili del ‘Monte’ e poi candidato con Mario Monti alle ultime politiche, quando andò in pezzi il patrimonio della Dc era l’uomo forte del partito a Siena. Fu dunque tra i primi a sapere della (s)vendita, tra l’altro, della sede del partito (…) Erano anni in cui il mercato tirava. Un monolocale in centro costava un occhio della testa (…). Indovinate chi lo comprò? La signora Anna Gioia (…). Prezzo di vendita: 570 milioni, cioè 294.000 euro. Pari al valore catastale (allora bassissimo rispetto a quello reale) rincarato di un minuscolo 3%. Saputa la cosa, la raccontammo sul Corriere e arrivò una querela della signora con una richiesta danni di 100.000 euro. Il 21 aprile 2009, finalmente, ecco la sentenza. Definitiva. Che dava torto ai querelanti e raccontava della deposizione di Romano Baccarini, già senatore, segretario amministrativo del Ppi e protagonista della dismissione del patrimonio immobiliare della ex Dc. Baccarini, che come scrissero i giudici ‘aveva esordito con un perentorio ‘tutto vero’’, riferì ‘di una sua visita a Siena accompagnato dal Monaci che lo avrebbe dovuto assistere nella vendita in quanto vi era urgenza di pagare i debiti, in particolare i tfr degli ex dipendenti e le tasse. Ricevette una prima offerta di trecento milioni di lire che giudicò ‘risibile’. (…) Siccome l’esigenza di monetizzare per pagare i debiti si faceva pressante, Baccarini decise la vendita in blocco degli immobili senesi ex dc…’. (…) “Quando venne a sapere dai giornali che la convivente Anna Gioia aveva acquistato l’appartamento”, prosegue la sentenza, Baccarini “sobbalzò sulla sedia (…) telefonò a Monaci dicendogli che era un farabutto perché non gli aveva detto assolutamente nulla; Monaci gli rispose che aveva fatto tutto la Gioia e che lui non sapeva nulla”.