Renzi non lo hanno votato i “destri” ma i “democratici d’opinione”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 4 Dicembre 2012 - 14:20 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi (LaPresse)

ROMA – Il “piccolo Berlusconi” non ha raccolto i voti dei delusi del centrodestra, che non sono pochi. Matteo Renzi, spesso accusato di essere “destra” dai suoi compagni di partito e detrattori, non ha sfondato tra l’elettorato del Cavaliere e del centro che si definisce moderato, se ci sono stati elettori e voti che hanno saltato il fosso dal Pdl al Pd targato Renzi lo hanno fatto in numero statisticamente irrilevante. Renzi ha invece costruito la sua sconfitta di lusso alle primarie tra quelli che possiamo chiamare i democratici d’opinione, in assonanza, in rimando all’elettorato d’opinione, cioè quegli elettori del Partito Democratico che nei confronti del partito hanno un atteggiamento critico e non rispondono automaticamente agli input dell’appartenenza.

Ha raccolto più voti, Renzi, proprio nelle regioni rosse. Restando invece indietro, e di molto, al Nord e ancor più al Sud. Come questo dato quantomeno inaspettato emerga dai risultati del voto lo spiega, sul Sole 24 Ore, Roberto D’Alimonte.

“Non è successo quello che molti dentro il Pd temevano e altri speravano, e cioè che Renzi riuscisse a portare a votare per lui molti elettori di centrodestra. I dati delle regioni del Nord fanno giustizia di questa tesi. (…) Perché il sindaco di Firenze è andato meglio nella zona rossa rispetto al Nord? Gli infiltrati non c’entrano. Per quale motivo gli elettori di destra delle regioni rosse dovrebbero averlo votato mentre gli elettori di destra delle regioni del Nord non lo hanno fatto? Certo, ci sono “conti e marchesi” che a Firenze hanno votato Renzi ma non fanno numero. I voti a Renzi nella zona rossa sono venuti largamente da elettori del centrosinistra che non hanno voluto votare il candidato “ufficiale” del partito. Non è stato un voto di sfiducia a Bersani. È stato un voto di protesta nei confronti dell’apparato e a favore del cambiamento. È stato espresso qui in maniera più netta perché in queste zone ci sono più elettori di centrosinistra. E sono elettori critici del Pd al potere e che non sono disposti a seguire ciecamente le direttive degli organi locali del partito. (…) Al Nord e al Sud (l’apparato) è riuscito a portare al voto a favore di Bersani la base fatta di iscritti e di simpatizzanti più vicini al partito e alla Cgil. Qui questo vantaggio non è stato compensato dalla presenza di un elettorato di centrosinistra critico a sostegno di Renzi, né dalle presunte infiltrazioni di elettori di destra che invece sono rimasti a casa. Nella zona rossa l’apparato ha svolto lo stesso ruolo a favore di Bersani ma non è bastato”.

D’Alimonte definisce il voto delle regioni rosse e la mancata conquista dei delusi del centrodestra “due sorprese”. E sono sicuramente due dati che alla vigilia non ci sarebbe aspettati. Tutti o almeno la maggior parte degli analisti avrebbero scommesso su una vittoria netta di Pier Luigi Bersani nelle regioni dove il partito è più forte e nella sua Emilia. Come tutti o quasi erano certi, in alcuni casi anche spaventati, dall’appeal che il sindaco di Firenze sembrava suscitare nell’elettorato di centrodestra. Un elettorato che, tra l’altro, sta vivendo un momento politicamente drammatico, con un partito che si sta sgretolando, senza un leader riconosciuto e travolto da scandali di varia natura.

Questo stato di cose, sommato a quello che sembra essere più che altro un preconcetto, e cioè che Renzi non sia di sinistra, facevano ritenere più che probabile che riuscisse a pescare a pieni mani tra i delusi di Pdl e forse anche Lega. Ma non è andata così, e le due sorprese di D’Alimonte sono in realtà due facce della stessa medaglia, perché indicano due espressioni dello stesso fenomeno.

Il segretario del Pd è andato forte grazie, ovviamente, al sostegno dell’apparato, delle sezioni e del sindacato. Una macchina che è riuscita a mobilitare la base del partito e portarla a votare per Bersani. Ma, come spiega D’Alimonte, là dove l’elettorato del centrosinistra è più ampio, nelle regioni rosse appunte, oltre agli elettori “attivati” dal partito ce ne sono stati molti altri che delle indicazioni ufficiali non si sono accontentati e anzi, hanno scelto di votare Renzi, anche per manifestare una voglia di nuovo all’interno del Pd.

Quelle che sono due sorprese di cui il candidato premier del centrosinistra dovrà tener conto, mettono in qualche modo anche in difficoltà tutti quelli che hanno da sempre accusato Renzi di essere un berlusconiano travestito da democratico. I risultati delle primarie dicono che, anche se così fosse, gli elettori del cavaliere non hanno notato la somiglianza, così come gli elettori “critici”del Pd, dove per critica s’intende la capacità di analizzare e proporre, e non solo distruggere, hanno apprezzato il travestimento..

Oltre a questo le primarie del centrosinistra hanno regalato anche quella che sembra una novità quasi assoluta nella politica italiana. E cioè un confronto, anche aspro, ma condotto e gestito sempre con rispetto reciproco. Per una volta, tra Bersani e Renzi, quella che dovrebbe essere la norma politica e che invece in Italia è da tempo sovvertita è stata rispettata. È accaduto che i due leader hanno mostrato un atteggiamento più composto rispetto a quello dei loro supporter, un atteggiamento volto ad unire più che ad incendiare animi. E in un Paese dove siamo abituati a dei leader ultrà, anche questa è una novità che merita di essere sottolineata.