Scudati: la tassa più “giusta e popolare” sarà la meno pagata

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 13 Marzo 2012 - 14:28 OLTRE 6 MESI FA

Lapresse

ROMA –Se c’era una tassa “giusta e popolare” era quella sugli “scudati”. Scudati, così chiamati perché avevano usufruito dello scudo appunto fiscale. Una legge, anzi una serie di leggi che a più riprese aveva consentito di riportare in Italia i soldi illegalmente esportati all’estero e quindi a suo tempo sottratti al fisco. Diventava legale riportare quei soldi in Italia e si poteva “ripulirli” a modica cifra: l’ultima era una “multa” pari al cinque per cento del capitale. A conti facilmente fatti, uno scontone rispetto all’aliquota che gli “scudati” avrebbero dovuto pagare se non avessero eluso, evaso, “spallonato” soldi all’estero: tra il 30 e ilo 40 per cento. Paghi cinque invece che 35 o più, un vero affare.

Dunque una tassa “giusta e popolare”, voluta se nona furor di popolo, di certo in assenza di opposizioni di principio, anzi. Le tasse si pagano, o quantomeno si dovrebbero pagare. Ma quando ne vengono introdotte di nuove raramente i contribuenti gioiscono, al massimo, a malincuore, aprono il loro portafogli pensando che è giusto così. Ma tra le nuove imposte introdotte dal governo Monti lo scorso dicembre ce n’era una che aveva fatto felici molti contribuenti: quella sui capitali scudati. Tra chi gioiva per la giustezza di questa nuova imposizione non c’erano, ovviamente, i destinatari della nuova gabella. Ma, come si dice, ride bene chi ride ultimo ed ora le parti si sono invertite. La tassa forse più giusta sarà infatti la meno pagata. Non per mancata volontà o palese evasione da parte di chi la tassa dovrebbe pagare, ma per problemi tecnici: difficile individuare i depositi e quantificare le somme, senza contare i dubbi di incostituzionalità che aleggiano su una tassa che va a colpire anche nel passato.

Il prelievo sui capitali scudati, oltre 180 miliardi di euro rientrati in Italia grazie alle sanatorie del 2001, 2003, e 2009/10 era stato pensato come una misura “politicamente” compensativa dei tagli alle pensioni. Il fisco aveva stimato un gettito di 2.19 miliardi da questa imposta. Gettito che però era già stato limato dalle rimodulazione delle aliquote ma ora quel gettito previsto, più che limato, comincia ad apparire come irraggiungibile. Colpa della complessità della materia nonché della farraginosità della norma. E non a caso il termine per pagare questa tassa, fissato in un primo momento al 16 febbraio, è stato posticipato di tre mesi, al 16 maggio. E non per il buon cuore del legislatore ma proprio per l’esistenza di diversi problemi tecnici.

Le difficoltà maggiori, spiega e riepiloga Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera, stanno nel rintracciare chi ha movimentato i capitali scudati, cioè quelli che dovrebbero essere tassati. La prima sanatoria che ha permesso il rientro di questi capitali risale al 2001, e in 11 anni quei soldi non sono ovviamene rimasti immobili. Possono essere stati usati per acquisti di case, per finanziare imprese, o passati in eredità. Tutte fattispecie perfettamente legali, prive di qualsiasi volontà di nascondere nuovamente al fisco la liquidità, ma che la rendono difficilmente rintracciabile.

Anche perché in questi anni anche le banche sono cambiate, si sono fuse, alcune sono fallite e altre hanno digitalizzato i loro archivi o hanno cambiato sistema informativo. Basterà seguire il nome di chi quel capitale scudato aveva intestato si potrebbe pensare, le banche dovrebbero detenere la memoria di tutti i movimenti di denaro effettuati attraverso di loro. Vero, ma non così semplice. Le banche hanno sì memoria di quello che è stato fatto, ma spesso quando si va indietro nel tempo la loro memoria ha forma cartacea ed è ordinata non per nome, ma per data. Evidente quindi la difficoltà nel rintracciare i capitali da tassare.

Se questo non bastasse poi, a pesare su questa tassa, la spada di Damocle dell’incostituzionalità. Lo statuto del contribuente prevede infatti che non possano essere applicate imposte per il passato, tanto è vero che gli intermediari hanno proposto di tassare solo i prelievi del 2011, accantonando quelli più vecchi. Soluzione questa che aggirerebbe l’incostituzionalità potenziale e risolverebbe i problemi di rintracciabilità, riducendo però drasticamente la base imponibile. Cancellando cioè buona parte degli introiti che lo Stato ha preventivato.