Serie A: 7 squadre senza sponsor, immagine calcio brutta per la pubblicità

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 27 Agosto 2014 - 13:32 OLTRE 6 MESI FA
Serie A: 7 squadre senza sponsor, pubblicità in fuga dal calcio italiano

Foto d’archivio

ROMA – Sabato comincia il campionato di serie A e sono ancora 7, su 20 totali, le squadre della massima serie senza uno sponsor sulla maglietta. L’Italia non tira più. Non tanto e non solo quella economica, ma persino quella calcistica. Sintomo evidente di un malessere del sistema calcio italiano e del suo appeal mediatico e quindi economico.

Più della miserrima figura brasiliana e più della vergognosa querelle sull’elezione del nuovo vertice federale, la crisi degli sponsor può raccontare lo stato di salute del calcio italiano. Un mondiale sbagliato può capitare, e un presidente federale considerato da molti come “inadeguato” si può persino sopportare se, in campo, ci sono squadre in grado di divertire e, cosa più importante, attirare spettatori e denari. Ma se la domenica il calcio italiano si esibisce in stadi mediamente vecchi e semideserti, se in campo vanno squadre mai o quasi competitive in Europa ormai orfane di top player e se, anche tra le big, l’atteggiamento societario e manageriale appare distante anni luce dagli esempi dei maggiori e più ricchi club continentali, il tracollo diviene quasi scontato. Una mera questione di tempo.

Non è allora un caso se la Tim per “brandizzare” la serie A sborsa poco più di 15 milioni di euro l’anno, a fronte dei 50 milioni di sterline a stagione che la Barclays versa per la Premier League inglese e che a breve non saranno neanche più sufficienti.

E passando dal generale al particolare, si arriva al “nodo” raccontato da Matteo De Santis su La Stampa: l’assenza del main sponsor dalle maglie di ben 7 squadre di serie A, e questo nonostante il recente via libera all’inserimento anche di un terzo marchio sul retro delle divise. “Le maglie ancora vuote di Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo, Roma e Sampdoria, nella settimana d’inizio del campionato – scrive De Santis -, rappresentano un record negativo mai registrato in Italia e ovviamente l’ennesimo campanello d’allarme sull’appeal in pericoloso ribasso della serie A”.

“Per ognuna di queste – spiega De Santis – ci sono storie, motivazioni, valori di mercato e strategie differenti. La Roma made in Usa, ad esempio, ha fissato l’asticella per l’incasso dal main sponsor a 14-15 milioni e non intende abbassarla più di tanto, come dimostra il gentile rifiuto a una compagnia aerea internazionale pronta a offrirne 4-5 per vedere il proprio nome abbinato a Totti e compagni. Stesso discorso per la Lazio, ormai all’ottava stagione senza uno sponsor fisso. ‘Non sminuisco il valore del nostro marchio solo per metterci uno sponsor’, il ritornello di Lotito. Il Genoa rappresenta una realtà più unica che rara: per ora ha solo un co-sponsor (McVitie’s) e non quello principale, ma può comunque contare sul minimo garantito dal contratto di marketing agent con l’advisor Infront”.

Distinguo a parte il trend negativo riguarda chiaramente l’intero sistema. E non è allora un caso che, tra i marchi che sponsorizzano le altre 13 squadre, la maggior parte dei loghi e dei brand siano di aziende italiane. Evidenza di un mercato del nostro calcio significativamente spostato ed orientato verso un bacino esclusivamente interno.

In altre parole le nostre squadre, e il nostro calcio, non tirano e non attirano più spettatori e quindi sponsor. Quello che era il campionato più bello del mondo si sta avviando, senza una qualche inversione di tendenza, a diventare un campionato di periferia.