Spese militari in calo da 10 anni. Big sconto sul prezzo della pace

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 28 Marzo 2014 - 14:16 OLTRE 6 MESI FA

soldiROMA – Se c’è una cosa che la crisi in Crimea ha riportato all’attenzione di tutti, è che la pace ha un prezzo. Un prezzo su cui però l’Europa si auto applica da dieci anni almeno robusto sconto. La Gran Bretagna ha meno uomini sotto le armi di quanti ne avesse nel 1815, quando sconfisse Napoleone. La Francia dal canto suo taglia le spese militari ad ogni finanziaria mentre gli Usa, gli unici all’interno dell’Alleanza Atlantica ad investire cospicuamente nella difesa, hanno rispetto al passato un contingente nel vecchio continente risibile.

In soldoni, in numeri e per quel che direttamente ci riguarda: negli ultimi dieci anni l’Italia ha abbassato le sue spese militari del 10 per cento. E questo prima ancora che F-35 sì, F-35 no. Si può legittimamente pensare che non un solo euro vada speso per esercito, marina, aeronautica. Si può. Quel che non si può, a meno di non mentire a chi ti ascolta e a se stessi, è ignorare che la spesa militare nel nostro paese è bassa e calante. Bassa come e più che in ogni altro paese europeo: esattamente l’1,2 per cento del Pil. Germania sta all’1,3, Francia all’1,9. Accordo Nato vorrebbe che la spesa militare fosse al 2 per cento del Pil, l’Europa tutta sta sotto con una media dell’1,6, gli Usa stanno al 4, 1 per cento.

Quindi legittimamente Obama pone la questione: paghiamo tutto noi americani? Legittimamente governi ed opinioni pubbliche europee vogliono tagliare il più possibile le spese militari, specie di questi tempi di grande magra economica. Il più possibile, già, ma fino a dove è possibile? Fino a dove arriva il doveroso sconto? Quando comincia a trasformarsi in rifiuto di pagare il prezzo. E qual è il giusto prezzo. Beati coloro che non hanno di questi problemi e cioè di quanto e come sia giusto e doveroso spendere per la difesa e la sicurezza. Beati quelli alla Grillo che “Obama è venuto per vendere il gas e gli F-35”. Obama piazzista di un gas che gli americani in realtà non vogliono vendere perché per la prima volta da decenni stanno diventando energeticamente autosufficienti. Piazzista di F-35, aerei di cui l’Italia dovrebbe acquistarne una quarantina e gli Usa ne produrranno un migliaio. Beato il Grillo del gas americano che “puzza” mentre quello russo che è, gratis e profumato? Beato aprir bocca e dargli fiato.

Si vis pacem, para bellum. Se volete la pace, preparate la guerra dicevano i latini. Politica che la Nato ha, o meglio avrebbe tradotto nell’accordo tra i membri dell’Alleanza per cui ogni Paese dovrebbe spendere il 2% del proprio Pil nella voce difesa. Ma se Washington investe più del doppio, il 4.1%, gli alleati europei applicano il suddetto sconto. La media europea di spesa è infatti ferma all’1.6%.

La questione non è in questo caso quella degli F-35, si tratta di spese molto più organiche che non riguardano una singola fornitura ma una politica di lungo respiro. E se è vero che i miliardi di euro che vengono spesi in armamenti sarebbe bello poterli spendere in altro (welfare, scuola, sanità, infrastrutture o lavoro), è anche vero quello che gli antichi romani semplificavano nella formula su citata.

Come la crisi ucraina è lì a dimostrare, le spese militari non sono fini a se stesse o prodotto di un’ideologia guerrafondaia. Anche la vecchia Europa che dopo l’esperienza delle due guerre mondiali sembra aver compreso il valore della pace deve infatti confrontarsi con il resto del mondo. Resto del mondo che nel vecchio continente va sotto il nome di Federazione Russa e ha il volto di Putin. Anche un’Europa amante della pace deve sapersi infatti opporre a chi questa pace può o vuole mettere in crisi. E come l’annessione della Crimea è lì a dimostrare, l’Europa oggi non è in grado di opporsi a nessuno. O almeno non a Putin. E non può farlo perché è a Mosca troppo legata economicamente, ma anche perché non dispone della forza necessaria a farlo.

“Finite le cerimonie, i picchetti in alta uniforme, i palazzi scintillanti del Vecchio Continente – scrive Gianni Riotta su La Stampa – , Obama ha detto in soldoni: ‘Fratelli, Putin è alle porte. Nessuna sa quando colpirà di nuovo dopo Cecenia, Georgia e Ucraina, forse tra Moldova e Transnistria dove ha già milizie. Se si muoverà, la Nato dovrà esser pronta e noi americani non possiamo pagare da soli’. (…) La Nato, Obama non ne fa mistero quando i reporter queruli si allontanano, non è in forma. Mentre Nixon e i parlamentari del Pci si fronteggiavano a Roma 1969, gli americani avevano in Europa 400.000 soldati. Oggi 67.000. Allora erano pronti al decollo 800 aerei militari Usa, adesso ne son rimasti 172, comprese 12 innocue cisterne volanti e 30 aerei cargo. La Marina aveva 40.000 uomini in Europa, per una flotta guidata da maestose portaerei. Sono rimasti in 7000 e non ci sono più portaerei a stelle e strisce di stanza nel Mediterraneo. Gli alleati han fatto di peggio, Londra ha sotto le armi 82.000 uomini, meno, osserva il New York Times citando l’ex capo di Stato Maggiore Dannatt, di quanti ne avesse Lord Wellington ai tempi della battaglia di Waterloo, 1815. Parigi taglia la Difesa a ogni finanziaria”.

Le armi che quindi restano in mano all’Europa sono le sanzioni economiche. Armi preferibili, quando efficaci, alla armi convenzionali. Ma armi che sembrano in questo inefficaci, vista anche la reazione di Mosca che, almeno apparentemente, ha reagito con una sonora risata. E armi infine che pesano anche su chi le usa, vista la già sottolineata dipendenza europea dal gas russo.

In questo scenario si inseriscono le manovre navali degli ultimi mesi di Usa e Russia distribuite tra oceano artico ed Atlantico. Manovre dove l’Europa semplicemente non compare, relegandosi ad un ruolo assolutamente di non protagonista. Marginalità da cui forse potrebbe uscire se mai riuscisse a mettere insieme una politica estera davvero unitaria e creare finalmente il tante volte auspicato ma mai realmente pensato esercito europeo. Ma questa è un’altra storia.

“Da nord a sud – spiega Guido Olimpo sul Corriere della Sera – il Cremlino vuole tenere testa agli Stati Uniti, come ai vecchi tempi dell’Urss. E Mosca non fa nulla per nasconderlo mostrando la bandiera e gonfiando i muscoli. (…) A metà febbraio fonti militari russe citate dalla Ria Novosti hanno annunciato la prossima creazione di un nuovo comando che dovrà coordinare l’azione nel Polo Nord. Un cuore strategico per difendere ‘vie marittime, risorse energetiche e pesca’ lungo la rotta settentrionale. Gli osservatori occidentali non hanno escluso che la Marina possa schierare, in futuro, anche i sottomarini della classe ‘Yasen’, battelli sofisticati rallentati da problemi di progettazione e costi elevati. Intanto hanno mandato in pattuglia gli altri sub. Attività coordinate dal centro di Severomorsk e dalla base di Gadzhiyevo, tana dei sommergibili nucleari della Flotta del Nord.

Ambizioni che seguono un gesto simbolico. Nell’agosto 2007 i russi hanno piazzato una loro bandiera sul fondo dell’Artico. Adesso vogliono andare oltre. Gli americani rispondono alle manovre con iniziative altrettanto ‘aperte’ e ben pubblicizzate. La Us Navy ha inviato di recente due squali atomici, l’Hampton e il New Mexico , sotto la calotta polare. Incursioni dove hanno provato la caccia in stile ‘Ottobre rosso’, hanno testato i loro siluri e altri sistemi coperti dal codice segreto, in particolare metodi di trasmissione. Il pubblicabile è finito sui social network. Grande lavoro di ricerca anche a Camp Nautilus, una base provvisoria nella zona artica. È un modo chiaro per dire ‘anche noi ci siamo’. Un impegno dove gli americani non sono da soli. (…) Mosca, da tempo, ha annunciato di aver ripreso i pattugliamenti con i sottomarini nucleari al largo delle coste americane. La Marina Usa ne ha confermato la presenza nel 2009 in Atlantico, ad una distanza di circa 300 chilometri dalla terra ferma. Poi nel giugno 2012 l’episodio di un ‘Akula’ che si è infilato nel Golfo del Messico senza essere scoperto dalle forze Usa. La storia è emersa soltanto dopo che il sommergibile d’attacco se ne era andato. Una piccola sfida seguita dal continuo incrociare di navi-spia russe”.

Questioni grosse e difficili, questioni e problemi dove non esiste “la soluzione”, dove il giusto è un mix di scelte prudenti e di coraggio nella scelta. E’ roba grossa e difficile calibrare quanto e come spendere per la difesa: quanti uomini, quali tecnologie, per quale strategia, quali sistemi d’arma, cioè come difendersi, da chi e dove. Ma il nostro dibattito pubblico è più semplificato, più elementare: F-35 sì o no. Un livello di dibattito inferiore alla complessità minima di ragionamento richiesta a uno che gioca la sera a casa a Risiko.