Tasse, c’è pure pedaggio biblioteca sulle fotocopie: 2 euro. Gabella anti studi

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 5 Novembre 2014 - 12:54 OLTRE 6 MESI FA
foto d'archivio

foto d’archivio

ROMA – Il turista sì, può fotografare, può immortalare immagini di opere d’arte, quadri e finanche libri. Ma lo studente, il ricercatore, lo studioso assolutamente no, non possono. O meglio, se proprio vogliono far qualche scatto che lo facciano, ma a patto che paghino.Fino a due euro a scatto: questa la tariffa.

Non è questa volta quello segnalato da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera l’ennesimo folle progetto di legge al vaglio del Parlamento ma è, purtroppo, invece una legge già bella ed in vigore. Una legge folle ed assurda per almeno due ordini di motivi: in primis perché crea di fatto due categorie di utenti, cosa di per sé non propriamente democratica, e in più discrimina la parte più ‘debole’ della due create, imponendo una gabella a ricercatori e soprattutto studenti che solitamente hanno meno denari dei turisti.

Ma l’aspetto più assurdo della norma sta non tanto nella discriminazione di studenti e ricercatori quanto nell’imposizione a questi di quella che di fatto è una tassa. Una tassa,  meglio sarebbe definirla pedaggio, per riprodurre immagini a fini di studio. E’ infatti proprio questo il punto, e non se ne abbiano i turisti, ma la norma com’è prevede che chi vuole un selfie con un manoscritto antico non deve nulla, ma se un ricercatore vuole invece fotografare una pagina di quello stesso testo, magari per una tesi di dottorato o per una ricerca, deve pagare. E non si tratta chiaramente di collezioni private dove ognuno può stabilire se e come i propri libri possano essere riprodotti, ma delle biblioteche pubbliche.

Così può accadere, come racconta lo stesso Stella, che qualche laureando abbia deciso di cambiare la propria tesi in funzione, anche, dei costi legati alla riproduzione dei testi trattati. Oggi infatti diversi istituti concedono l’utilizzo della fotocamera, compresa quella del cellulare, solo dietro il pagamento di un canone che, in alcuni casi, può arrivare a due euro ad immagine. Ma ci sono anche realtà dove, e sono in un certo senso le peggiori, il divieto di fare foto con mezzi propri è tassativo. Questo per concedere il massimo profitto al soggetto privato che ha l’appalto esclusivo per quello che è ormai un vero e proprio mercato delle riproduzioni dove a foraggiare tutti sono le tasche dei ‘poveri’ studenti. Quindi una tassa, un pedaggio privato imposto e riscosso da biblioteche pubbliche.

Facendo due conti è evidente come simili costi possono scoraggiare ed influenzare le scelte di questi che, per 50 foto da inserire nella tesi, possono arrivare a dover pagare più di 100 euro. Logica vorrebbe che, una volta pagato il biglietto d’ingresso o l’abbonamento, la spesa sostenuta comprendesse il diritto a fare foto. E vorrebbe anche che, nei musei e nelle biblioteche, studenti e ricercatori trovassero non condizioni peggiori rispetto ai ‘semplici’ turisti, ma almeno eguali se non migliori.

“Non c’è scritto nella Costituzione, all’art. 9 – si domanda Stella -, che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica?”. Sì, ovviamente c’è scritto, ma chi lo ricorda?

Ad onore del vero, come ricostruisce Stella, qualcuno provò a cancellare la norma che colpiva i suddetti studenti e ricercatori ma, proprio quando la nuova norma stava per passare, un emendamento da qualche lobby suggerito ha reintrodotto la gabella. “A distanza di mesi non è stato ancora posto rimedio ad una delle leggi più insensate votate negli ultimi tempi. (…) Il decreto ArtBonus ha liberalizzato le foto nei musei e nei siti archeologici per turisti, ma si è rimangiato l’apertura, che era nel testo originario, alle libere riproduzioni per motivi di studio dell’intero universo dei beni culturali , a partire dalla biblioteche”. Complimenti.