Trecento scientifici racconti di vita dopo la morte, però sono tutti vivi

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 8 Ottobre 2014 - 12:59 OLTRE 6 MESI FA
Foto d'archivio

Foto d’archivio

ROMA – E’ ufficiale: la vita va oltre la morte. Uno dei misteri più antichi e ed assolutamente inconoscibile per gli uomini è finalmente stato svelato. Ora ci sono le prove: le testimonianze di chi oltre la vita è andato, di chi è morto.

“Per quattro anni i ricercatori della Southampton University – racconta il Corriere della Sera – hanno esaminato i casi di 2.060 persone, tutte vittime di arresto cardiaco, in 15 ospedali sparsi tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Austria. Secondo i dati in possesso degli studiosi inglesi, circa il 40 per cento dei sopravvissuti ha descritto esperienze coscienti provate mentre il loro cuore aveva smesso di battere. In cifre, dei 330 scampati alla morte…”.

Dei 330 scampati alla morte? Sì, avete letto bene: scampati alla morte. E d’altra parte non potrebbe essere altrimenti. Il punto debole dell’interessante studio su cosa ci attende dopo la morte è qui, è questo: si basa sulle testimonianze di persone che non sono morte. Un po’ come se l’esplorazione dell’Africa fosse stata basata sull’esperienza di chi in Africa non era stato, come un dottor Livingstone perso al massimo per i dock londinesi. Stava partendo, ha avuto la sensazione del mal d’Africa, ha perfino patito il caldo e la sete di savana e deserto…Però non è partito.

Il paragone, è vero, tra l’esplorazione dell’Africa e quella del dopo vita è ingeneroso e volutamente provocatorio. Lo studio riportato dal Corriere e da molti altri siti di e-news ha probabilmente scopi anche medicalmente più pratici rispetto alla risoluzione dell’interrogativo “c’è vita dopo la morte?”, come si intuisce anche dall’ultimo paragrafo del Corriere che recita: “Sam Parnia è uno specialista in anestesia e rianimazione, attualmente primario del reparto di Terapia intensiva e direttore del dipartimento di ricerca sulla Rianimazione presso la Scuola di Medicina della Stony Brook University di New York. È considerato uno dei massimi esperti mondiali nel campo della morte, del rapporto mente-cervello e delle esperienze ai confini della morte. Dal 2008 Parnia fa parte del progetto AWARE, uno studio internazionale promosso da Human Consciousness Project al quale hanno aderito venticinque ospedali tra Europa e Nord America. Lo scopo del progetto è quello di verificare se le percezioni riportate da pazienti che hanno superato un arresto cardiaco possono essere provate”. Cioè un medico anestesista comprensibilmente interessato a cosa accade nel cervello umano quando questo viene per qualche motivo, traumatico o farmacologico, “spento”.

Ecco, ma su quelle percezioni lo studio citato e soprattutto i titoli dei giornali si fondano e sintetizzano nella formula “C’è vita dopo la morte!”. E sono anche racconti interessanti e senza dubbio affascinanti. Come quello di un assistente sociale cinquantasettenne di Southampton che ha raccontato di avere lasciato il proprio corpo e di avere assistito alle procedure di rianimazione dello staff medico da un angolo della stanza nella quale era ricoverato. L’uomo, il cui cuore si era fermato per tre minuti, ha raccontato nei dettagli le azioni dei medici e degli infermieri e ha ricordato i suoni delle apparecchiature mediche. Oppure le altre testimonianze di un paziente su cinque che ha sperimentato un inusuale senso di pace e di circa un terzo dei 330 sopravvissuti che ha assistito ad un rallentamento o ad un’accelerazione del tempo.

Alcuni altri hanno rammentato una forte luce simile a un flash o a un sole splendente, mentre altri hanno raccontato di una sensazione di paura di affogare e venire trascinati in acque profonde. E poi, quel 13 per cento di coloro che sono stati rianimati che ha ricordato delle esperienze extracorporee e un aumento delle percezioni sensoriali. Tratti che compaiono in diverse testimonianze, come se queste convergessero verso un esito univoco o, al contrario, come se fossero influenzate dai pregiudizi che tutti portiamo con noi.

Ma il punto è che si tratta comunque di percezioni, testimonianze di persone che, tecnicamente e non solo, non sono affatto morte ma al contrario assolutamente vivissime. E quindi, buon per loro, poco sembrano poter aggiungere alla ricerca di una delle Risposte con la maiuscola che l’uomo da sempre, tanto affannosamente quanto inutilmente, almeno per ora, cerca.