Voltaire, Machiavelli, Goebbels non hanno mai detto…

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 17 Dicembre 2015 - 13:04 OLTRE 6 MESI FA
Voltaire, Machiavelli, Goebbels non hanno mai detto...

Voltaire, Machiavelli, Goebbels non hanno mai detto…

ROMA – Gioie e dolori della citazione. Molte delle frasi celebri che circolano in rete, ma anche sui libri e nelle tv, danno credito e corpo al discorso che vanno ad arricchire ma non sono, in molti casi, uscite dalla bocca cui vengono attribuite. Un esempio? La celeberrima e ipercitata “non condivido quello che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”, universalmente attribuita a Voltaire, non è in realtà mai stata pronunciata dal filosofo francese. Questa frase, certo fedele al pensiero del padre dell’Illuminismo, è in verità uscita dalla bocca, anzi dalla penna, di Evelyn Beatrice Hall, scrittrice britannica autrice di una biografia del filosofo del 1906.

“Poche cose come una citazione aiutano a cominciare uno scritto o comunque a rafforzarlo – scrive Claudio Magris sul Corriere della Sera -. La citazione è una specie di chiave musicale, dà un’intonazione al discorso e conferisce autorità a quanto si scrive e alle tesi che si sostengono. Inoltre è una sintesi che semplifica ed esprime con chiarezza le idee che vengono espresse. È anche rischiosa, perché spesso viene tirata in ballo senza controllarla, risuona nella mente e nella memoria con una sicurezza che esime dallo scrupolo di verificarne l’esattezza; nessuno va a rileggersi Giulio Cesare per accertarsi che egli abbia detto esattamente ‘veni, vidi, vici’.

I giornali e ancor più i dibattiti pubblici, con la fretta che impongono all’espressione delle opinioni, accentuano il ricorso alla citazione incisiva. Quando si discute, non si può consultare l’enciclopedia. Sotto questo profilo, la citazione è l’opposto del plagio: si cita senza talora copiare alla lettera, mentre nel plagio si copia senza citare l’autore del testo rubato e anzi attribuendosi la paternità di quest’ultimo. Ma la citazione si presta all’inconsapevole falsificazione. La paternità di molte delle più famose fra esse è data per scontata, ma spesso è falsa”.

E se internet ha comprensibilmente contribuito al diffondersi della citazione-mania e, ancor di più, alle inesattezze sulla paternità di queste, non è la rete ad aver creato il fenomeno. “Con l’avvento di internet e dei media sociali si è diffusa una nuova tendenza. L’uso incontrollato della citazione – spiega Adriano Ausilio, accanito cacciatore di bufale e studioso di filosofia -. Si prendono per buoni passi o frasi famose solo perché li si è letti da qualche parte o per sentito dire, senza preoccuparsi di controllare se provengano effettivamente da una fonte veritiera. La Rete è piena di siti che contengono sillogi di citazioni storiche e letterarie. Ed è lì che si annida l’errore, perché le citazioni non provengono più da una conoscenza diretta dei testi, bensì da raccolte compilatorie non molto affidabili”.

E allora, per trovare se non l’origine almeno la ratio di questo tipo di errori, nulla di più appropriato di una citazione, questa volta del filosofo tedesco Hegel: “Il noto in genere, proprio perché noto, non è conosciuto”. Tradotto in altre parole, quel che tutti credono di conoscere perché parte di un supposto bagaglio comune come la suddetta citazione di Voltaire, non viene in realtà studiato e verificato proprio in nome della sua comune accettazione.

Ma quali sono le citazioni celebri, che molti di noi avranno probabilmente usato, attribuite in modo sbagliato?

Non è stato, ad esempio, Goebbels a dire “quando sento la parola cultura tolgo la sicura alla mia Browning”, bensì, in un suo testo teatrale, Hanns Johst, drammaturgo tedesco nazista.

E non è stata Maria Antonietta a dire “se non hanno pane mangino brioche”. La frase è sicuramente precedente perché già nota ai tempi di Jean Jacques Rousseau, epoca in cui l’arciduchessa austriaca non era ancora nata. L’aneddoto da cui è tratta la frase è contenuto nel libro VI delle sue Confessioni, pubblicate peraltro postume.

Flaubert non ha poi mai detto “madame Bovary c’est moi, madame Bovary sono io”.

E Machiavelli che non ha mai detto esplicitamente “Il fine giustifica i mezzi”, parole che certo riflettono il suo pensiero ma da lui mai proferite.

Alcune volte poi il peso della storia è così forte che si continua ad attribuire una frase a chi non l’ha detta anche quando il presunto autore lo ha dichiarato lui stesso. Come nel caso della tanto famosa quanto grande espressione “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”, non è di Gramsci, come tutti ritengono, bensì di Romain Rolland ed è stato Gramsci stesso a precisarlo. Ma ormai è entrata nel mondo come frase di Gramsci e tutti lo ripetono, anche chi sa — grazie a Gramsci — che è di Rolland…

Dulcis in fundo, chi non ricorda la celebre frase “eppur si muove”, attribuita a Galileo Galilei che volle così rispondere alla condanna dei giudici dell’Inquisizione per le sue scoperte scientifiche? Quella frase non fu mai pronunciata da Galileo ma inventata, come ormai è risaputo, dallo scrittore italiano Giuseppe Baretti nel 1757, con lo scopo di creare il mito di una Chiesa oscurantista e incapace di aprirsi alle nuove scoperte scientifiche.