Anche L’Italia ha i suoi guai

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 19 Luglio 2015 - 07:33 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi

Matteo Renzi

ROMA – Giuseppe Turani ha pubblicato questo articolo anche sulla rivista Uomini & Business col titolo: “Anche L’Italia ha i suoi guai”.

La drammaticità delle vicende greche ha portato un po’ tutti a trascurare le questioni italiane, che pure esistono e non sono così semplici. Si porrebbe partire dal dato delle ultime ore: quattro milioni di italiani vivono in povertà. L’unica consolazione è che le persone di questa categoria non sono più in aumento. Se però teniamo anche conto di quelli che statisticamente non rientrano nell’area della povertà, magari solo perché guadagnano qualche euro in più, si arriva alla facile conclusione che quelli che in Italia fanno una vita molto disagiata sono quasi dieci milioni. Si tratta quasi del 15 per ceto della popolazione, all’interno della quale (altro dato) più del 12 per cento non trova lavoro. La crisi, insomma, si è fatta sentire e in modo pesante. Purtroppo per tutte queste persone non ci sono molte speranze a breve. I soldi per una dignitosa assistenza non ci sono e non ci potranno essere perché la pressione fiscale è già al massimo e lo Staro riesce appena appena a tenere insieme i suoi conti, senza caricarsi di nuovi oneri.

L’unica possibilità sarebbe data da un forte sviluppo dell’economia italiana. A maggio c’è stata un’impennata della produzione industriale e questo ha fatto pensare che sia cominciato un boom, finalmente. Ma non è vero. Le previsioni più attendibili dicono che già a giugno la produzione sta rallentando. E, in ogni caso, il 2015 dovrebbe chiudersi al massimo con una crescita dello 0,7 per cento, cioè poca cosa. Con valori di questo genere non ci sarà riassorbimento della disoccupazione esistente (almeno non in misura sensibile) e nemmeno l’arrivo di entrate extra che consentano allo Stato di intervenire presso i più deboli. Di fatto siamo bloccati. Con un’aggravante. Fino a ieri siamo stati aiutati dalla congiuntura internazionale (molto positiva per noi). In particolare il costo del denaro basso ha permesso all’Italia di spendere poco per il suo ingente indebitamento (oltre 2200 miliardi di euro).

Ma adesso arriva una novità dall’America. La banca centrale di quel paese ha deciso che prima della fine dell’anno i tassi di interesse verranno alzati. Quindi costo del denaro più caro in America. E, dopo poco, anche negli altri paesi (Europa compresa) ci si metterà sulla stessa strada. I nostri debiti, quindi, cominciano a correre il rischio di costare più cari. Che cosa si può fare? In realtà niente. In teoria si dovrebbero tagliare le spese pubbliche e abbassare quindi le tasse per dare più respiro all’Italia che lavora. Ma non è così semplice. La spesa pubblica è fatta in gran parte di stipendi e anche i fannulloni, se hanno uno stipendio, alla fine qualcosa spendono e fanno girare l’economia. Se gli togliamo lo stipendio e li mandiamo a casa, riusciamo solo a rallentare ancora di più l’economia perché ci sarà meno gente che compra qualcosa. Questa è un’operazione che si può fare nei periodi di alta congiuntura o quando si è disposti a vivere ancora qualche anno in difficoltà (i tagli di spesa pubblica fanno effetto, positivo, dopo tre-quattro anni). Quindi non esistono molte strade.

Da indiscrezioni apparse sui giornali nei giorni scorsi sembra di capire che, comunque, il governo ha in mente qualcosa. L’idea, un soldoni, dovrebbe essere questa: farsi autorizzare da Bruxelles a andare oltre i parametri europei (per un anno o due). E questo dovrebbe procurare allo Stato la possibilità di indebitarsi per altri 30 miliardi di euro, cosa che consentirebbero di abolire le odiate imposte sugli immobili. Questo, si pensa, dovrebbe stimolare la fiducia nei cittadini e quindi provocare una maggior vivacità nell’economia, quella che appunto si va cercando. Io non sono così sicuro. Infatti mentre il governo pensa a queste cose nel paese sta aumentando la sensazione di instabilità politica. E la gente (aizzata dalle formazioni populiste) comincia a pensare che lo Stato, messo alle strette, potrebbe fare qualsiasi cosa (prelievi straordinari, contributi di solidarietà, ecc.). E quindi è molto prudente, spende meno di quello che potrebbe. Un’eventuale crisi di governo, poi, farebbe saltare tutto per aria. Insomma, siamo abbastanza nei guai.