Fidel Castro, una parabola iniziata e finita a Santiago

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 27 Luglio 2019 - 14:28 OLTRE 6 MESI FA
fidel castro cuba

Fidel Castro (Foto Ansa)

ROMA – Comincia e finisce a Santiago la parabola del Comandante in Jefe Fidel Castro Ruz. Inizia esattamente il 26 luglio di 66 anni fa, con l’assalto alla caserma Guillermo Moncada, oggi una graziosa scuola elementare nel centro della città. Ed inizia male.

Un manipolo di pochi studenti ed operai, male armati e peggio organizzati, guidati da un giovane avvocato, attaccano la caserma militare ma vengono immediatamente sopraffattore dalle milizie di Fulgencio Batista, un piccolo sergente mulatto che aveva posto Cuba al servizio dei nordamericani e della mafia italiana ed ebrea. Tratti a giudizio vengono tutti condannati a pene severe.

Il giovane avvocato Castro, si difenderà da solo, la sua arringa finale “la historia me absolvera’” viene ancora oggi stampata e studiata nelle scuole di tutto il Paese. Ma poco tempo dopo il regime di Batista capisce che è troppo ingombrante anche in galera quell’avvocato che ha studiato dai gesuiti e che si esprime nel castellano forbito dei suoi avi Galiziani.

Lo invia negli Stati Uniti, dove già riparò esule Jose Marti’, l’apostolo della rivoluzione contro il colonialismo spagnolo, riferimento ideologico di Fidel che ingaggiò una dura battaglia dai risvolti anche diplomatici contro i cubani di Miami che chiamarono Radio Marti’ la loro emittente dalla quale partivano gli strali contro il socialismo tropicale dell’Isla Granda.

Gli agi americani non hanno sopito l’ansia di ribellione del “Comandante in Jefe” che con una dozzina di barbudos come lui, salpano a bordo di un piccolo Yacht , il Granma, conservato come una reliquia nel museo della revolucion a l’Habana, dalle coste messicane, puntando su Cuba. Alla spedizione si unisce un giovane medico argentino, piuttosto malandato in salute.

Ma i suoi malanni fisici nulla erano rispetto all’altra malattia da cui era affetto, quella della revolucion. Ernesto Guevara de la Sierna, El Che, diventerà il più stretto collaboratore di Castro, che dopo il triunfo della revolucion lo invierà in tutto il mondo in divisa verde oliva, a raccontare le gloriose gesta della rivoluzione.

Fino a quando non lo accoppano su di un altopiano boliviano, dove lo tradiranno dei campesinos a cui “l’uomo nuovo socialista” vagheggiato dal medico argentino non piaceva per niente. El primero de Enero del 1960, Fidel entra a l’Habana, Batista scappa a Santo Domingo e gli americani, a cui il sergente mulatto in fondo piaceva poco, guardano con simpatia a quell’avvocato colto e liberale che finirà solo anni dopo tra le braccia di Breznev, a cui faceva gola una isola a 90 miglia dagli States dove piazzare i suoi missili.

Che in effetti i sovietici puntarono contro gli Stati Uniti, provocando la crisi più pericolosa negli anni della guerra fredda. Una escalation nucleare evitata solo per poco, grazie alle doti del più grande diplomatico del tempo, quel Gromiko che fu l’unico a tener testa a Kissinger. All’hotel Hilton ribattezzato Habana Libre, Castro insedia il suo governo.

La diplomazia americana e la Cia sembrano dirgli, okey avvocato, ora si faccia da parte, ci pensiamo noi, e propongono come capo di Stato il presidente della Corte Costituzionale Rodríguez, un liberale non (molto) coinvolto con Batista e con Castro.

Fidel risponde nazionalizzando le imprese nordamericane. Mettere le mani in tasca a los capitalistas del norte, provocò el Bloqueo, l’embargo che dura ancora oggi da allora. E glorificò Fidel, da quel momento assurto come leader di tutti i Paesi del mondo in via di sviluppo che vedranno in Cuba una speranza per i loro popoli.
Dal Congo all’Algeria, dal Vietnam al Nicaragua, Cile, Angola e così via non ci fu leader rivoluzionario che non fu ispirato dal Comandante en Jefe.

60 anni in chiaro scuro di regime comunista hanno contribuito a renderlo una leggenda. Lo stile di vita certosino appreso al collegio dei gesuiti, da cui si gode la più bella vista di Santiago, lo hanno reso più amato che detestato.
Lo dimostra il semplice sepolcro in cui è sepolto nel cemeterio monumental santa Ifigenia a Santiago, nei cui pressi, in una graziosa Fazenda familiare, è nato.

È sepolto con gli altri padri della patria, Jose Marti’, Carlos Manuel Cespedes, Antonio Maceo ed anche el trovador Compay Segundo. In fondo, dopo centinaia di tentativi di ammazzarlo, anche gli americani si erano arresi alla “soluzione biologica” del “problema cubano”. E pare di vederlo il sorriso gesuitico del Comandante, mentre, come d’abitudine, verga a mano i suoi telegrammi di condoglianze per la “prematura” scomparsa di Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Reagan, Bush sr…