Governo tecnico sempre politico, vuole la fiducia del Parlamento

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 8 Marzo 2013 - 07:14| Aggiornato il 11 Settembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

Ha ragione Beppe Grillo. Non esistono governi tecnici. Almeno non nel nostro panorama istituzionale in quanto la Costituzione impone al leader incaricato di formare il governo, di presentarsi in parlamento per avere la fiducia.

Il voto di fiducia, peraltro revocabile in qualsiasi momento, è dato dal Parlamento, luogo in cui si realizza il principio di democrazia rappresentativa, all’esito di una valutazione del programma formulato dal governo che è un atto di indirizzo politico.

Solo in tal modo può formarsi un esecutivo che, come visto, non può che avere una connotazione politica proprio per il fine che persegue.

In momenti di grande difficoltà, quello attuale ad esempio, è capitato che il Presidente della Repubblica abbia affidato l’incarico di guidare il Governo ad una personalità estranea al mondo politico o comunque non direttamente legittimata dal voto popolare, è il caso di Mario Monti ed in passato di Lamberto Dini.

Si suole definire, con evidente imprecisione, questi governi “tecnici”, quando al più possono definirsi “atipici”.

La distinzione non è puramente terminologica perché l’atipicità di un governo rimanda all’idea di una prassi che ha un rilievo costituzionale, difficile da scorgere in un governo “tecnico” anche terminologicamente estraneo alla nostra architettura costituzionale.

In realtà, ogni volta che il Presidente della Repubblica incarica qualche personalità estranea al panorama politico, lo fa in attuazione di un altro principio costituzionale, quello in base al quale  è tenuto ad incaricare chi è in grado di avere una maggioranza in parlamento disposta a votargli la fiducia.

Nelle democrazie parlamentari, come la nostra, il rapporto tra Governo e Popolo è mediato appunto dal Parlamento, non esiste una investitura diretta del Governo.

Ne consegue, tra l’altro, che l’attuale premier ha governato e sta governando in virtù di un voto di fiducia accordato dal Parlamento che è l’atto più squisitamente politico che possa immaginarsi in una democrazia rappresentativa, a seguito di un incarico conferitogli dal Presidente della Repubblica, al quale, in tali casi , è difficile non riconoscere un ruolo “politico” forse non proprio costituzionalmente ortodosso però giustificato dall’esigenza primaria di formare un Governo incaricando chi in Parlamento riesca a trovare i numeri per avere la fiducia necessaria a governare.

Come poi possa definirsi tecnico un governo nato sulla base di tali scelte ed opportunità politiche non è dato capire.

D’altro canto, rimettere i conti dello Stato in ordine, precipuo compito del Governo Monti, implicava necessariamente scelte politiche che devono essere ratificate in Parlamento . E cosi infatti è stato. Di volta in volta era la maggioranza politica che suggellava le scelte del Governo in materia di politica economica, politica estera, politiche sociali e cosi via seguitando.

Il Governo è poi caduto in parlamento per effetto del venire meno della fiducia accordata (come del resto negata) con un atto politico.

Insomma viene da chiedersi se sia mai esistito un governo più politico, nella sostanza, di quello attuale.

La preoccupazione di alcune forze parlamentari, uscite vincitrici dalle elezioni, come il M5S di Beppe Grillo, è pertanto legittima.

È finalizzata ad evitare che venga definito come “tecnico” un futuro governo affidato ad una personalità estranea alla rappresentanza parlamentare, che per forza di cose prenderà decisioni politiche sulla scorta di un voto di fiducia concesso dalle Camere.

Insomma, il ripetersi che sciagurate scelte politiche siano spacciate come “tecniche” .