Ministero e magistrati, conflitto fra Poteri dal caso Bonafede-Di Matteo

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 18 Maggio 2020 - 07:32 OLTRE 6 MESI FA
Ministero Giustizia e magistrati, conflitto fra Poteri dal caso Bonafede-Di Matteo

Ministero e magistrati, conflitto fra Poteri dal caso Bonafede-Di Matteo (nella foto d’archivio Ansa, il ministro Bonafede)

Dopo Di Matteo, Bonafede inciampa anche sul suo capo di gabinetto Fulvio Baldi.

Baldi è stato intercettato mentre s’impegnava ad assicurare a Luca Palamara una sistemazione per una pm della sua corrente (Unicost) a Via Arenula. Qui è la sede del ministero della giustizia.

Sino adesso sapientemente distillate, le captazioni telefoniche perugine sono state depositate accluse alla richiesta del rinvio a giudizio di Luca Palamara.

Esse tratteggiano un quadro  torbido, per quanto prevedibile, dei traffici che circolavano intorno al ministero della Giustizia.

Qualche volta sono emersi maneggi di piccolo cabotaggio, come i biglietti gratuiti assicurati da Lotito alle toghe.

Più spesso, fatti di rilevanza penale analoghi a quelli per cui i procuratori di Perugia procedono.

Ma quello che è emerso con inquietante sistematicità, è la pervasività dell’Ordine Giudiziario.

I suoi membri, soprattutto appartenenti alla magistratura requirente, sono insediati oramai stabilmente tra le diverse articolazioni del Ministero della Giustizia.

Ma non solo lì.

La presenza di tanti magistrati collocati fuori ruolo (peraltro con criteri incomprensibili e spesso arbitrari) è una singolarità tutta italiana, quanto meno nelle dimensioni.

Ne viene fuori l’immagine di una magistratura che non si limita ad esercitare la giurisdizione ma finisce col governare settori chiave della Pubblica Amministrazione.

Per il principio della separazione dei poteri, la direzione di un Ministero è affidati alla guida e alla responsabilità dei rappresentanti dell’Esecutivo.

Essi sono di natura elettiva ed appartengono ad un diverso potere che deve restare distinto da quello Giudiziario.

Il corto circuito scaturito dalla querelle tra Bonafede e Di Matteo sulla direzione del Dipartimento Affari Penitenziari, ha svelato l’importanza, tutta politica, della posta in gioco.

Un contrasto che ha posto in bilico il necessario equilibrio tra i poteri.

Che ha favorito le condizioni o quanto meno l’intollerabile rischio che uno dei poteri dello Stato (quello Esecutivo), venga subordinato
ad un altro (quello Giudiziario).

E questo a dispetto del già richiamato principio della separazione tra gli stessi che fonda lo Stato moderno.

Dipartimenti e direzioni dei Ministeri non possono essere oggetto di trattative e pretese da parte dei Magistrati.

Piuttosto, i giudici tornino nelle aule ad amministrare la giustizia e la politica si riappropri del suo ruolo.

E si assuma le sue responsabilità. Invece che condividerle e qualche volta  delegarle ad un altro potere dello Stato.

Il rischio è l’indecente mercimonio che è venuto fuori dalle carte perugine.