Salvini, il lungo declino dal Papeete: troppo Sud, il Nord protesta

Con i processi per i fatti della Diciotti ed Open Arms, per Salvini non inizia solo un iter giudiziario molto insidioso per il suo personale futuro.

Essi segnano infatti anche la fase discendente di una parabola politica che è cominciata quando ha disperso su di una spiaggia romagnola il consenso accumulato in pochi mesi, per lo più a scapito dei partners di un governo raccolto intorno a un “contratto” stilato dopo mesi di feroci trattative.

Un accordo raggiunto solo quando Cottarelli, zaino in spalla, è stato visto salire al Colle dove il Presidente Mattarella lo aveva convocato per affidargli l’incarico di formare un Governo che Salvini e Di Maio impedivano a causa dei veti che reciprocamente avevano posto uno all’altro.

Così Conte diventò primo ministro

Sappiamo come è finita. Uno sconosciuto Avvocato pugliese, sponsorizzato da un suo assistente all’università (che poi verrà promosso a Guardasigilli), diventerà Premier.

E formerà un Governo destinato a durare meno di un anno, un tempo utile solo al leader della Lega che, utilizzando la comoda passerella mediatica del Viminale, raddoppierà il proprio consenso.

Limitandosi in fondo solo a seminare la paura tra un elettorato timoroso di una prossima “invasione dello straniero”. Una storiella raccontata ad arte da una spregiudicata macchina social significativamente chiamata “la Bestia”.

Che ancora continua. Poi, l’errore fatale.

Salvini chiede i pieni poteri e cade dal trono del Papeete

L’evocazione di quei “pieni poteri”, che credeva di ottenere per mezzo di elezioni anticipate, ha comportato un voto di sfiducia al Governo provocandone la caduta.

L’insipienza politica ha fatto il resto. Una cosa è aizzare le masse creando un effimero consenso, un altro creare accordi stabili, avere capacità negoziali sviluppare relazioni internazionali.

Tutta roba mai prevista nell’agenda politica del Capitano.

I limiti della visione politica di Salvini

La sua azione ha come unico codice la semplificazione, la banalizzazione dei gravi problemi che pure affliggono il nostro Paese. “Parlateci di Bibbiano” o postare qualche foto mentre pela le zucchine non può essere la sola risposta ad un elettorato leghista.

Che, dopo aver guardato con (comprensibile) diffidenza alla sua liaison con il meridione, adesso guarda con attenzione verso altri attori politici più capaci di intercettare e assecondare gli umori del nord rispetto a Salvini. Zaia e Giorgetti appaiono sempre più maggiormente in sintonia con quell’elettorato.

Sanno di poter interpretare i bisogni dei ceti produttivi di riferimento del Nord, che sono stanchi di vedere ridotta la politica alla sterile invettiva contro il Governo in carica, che sono stufi della stucchevole narrazione della invasione dei clandestini, oramai unico tema con cui Salvini cerca di risollevare le avverse sorti degli ultimi mesi.

Tra pochi mesi arriveranno tanti soldi dall’Europa, le realtà imprenditoriali del nord hanno bisogno di quelle risorse, vogliono poter contare e decidere sul loro impiego.

A loro dei “porti chiusi” e della “marea nera” dei clandestini interessa poco.

Ai settori produttivi servono investimenti, infrastrutture efficienti, digitalizzazione, buoni rapporti con l’Europa e con la Cina. Tutte cose che non compaiono nei programmi di Salvini.

E che invece appartengono da sempre alla prospettiva politica dell’imprenditoria del nord, motore economico dell’Italia. Che Salvini non rappresenta più, come lui stesso comincia a temere.

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