L’Abruzzo dei pastori finisce nella discarica dei veleni

di Antonio Del Giudice
Pubblicato il 27 Marzo 2014 - 12:39 OLTRE 6 MESI FA
L'Abruzzo dei pastori finisce nella discarica dei veleniROMA – Da Regione verde d’Europa a bomba ecologica. Da terra dei pastori dannunziani ad avvelenatori seriali. Bussi, popoloso centro del Pescarese al confine col l’Aquilano, è una discarica di veleni a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Bussi era stato il primo nucleo industriale alla fine dell’Ottocento. Il territorio ricco di acque fluviali, innanzitutto con fiume Aterno, aveva favorito nel tempo l’arrivo di aziende produttrici di prodotti chimici, Montedison in primis. A Bussi si produceva, fra l’altro, anche il micidiale gas nervino che i nostri eserciti usarono in Abissinia. Fra silenzi omertosi e necessità economiche del territorio, la terra dell’economia pastorale è finita all’attenzione delle cronache giudiziarie e sociologiche come l’ennesimo scandalo italiano. Ilva, Terra dei fuochi, Tirreno Power, Bussi e decine di altri siti noti o non ancora noti.
Dice la relazione dell’Istituto superiore di sanità che il deposito funesto di Bussi ha avvelenato per decenni l’acqua di 700mila abitanti, scuole e ospedali compresi. Notizia ritrovata nelle carte del processo ai manager Montedison che si svolge davanti alla Corte di Assise di Chieti. Un segreto taciuto per decenni, sicché  cadono dal pero tutti insieme gli uomini della politica, i presidenti emeriti della Regione, quelli in carica e gli aspiranti governatori. Nessuno sapeva nulla, e può anche essere, visto che ormai l’ultimo pensiero di chi governa i territori è occuparsi dei territori.
L’Abruzzo forte e gentile, i pastori che scendono all’Adriatico selvaggio e tutta la retorica dannunziana hanno steso un velo pietoso sulla verità di questa terra. Il folklore rimane folklore, la storia è altra cosa. Oggi la regione conta circa 1.300mila abitanti, regione che dopo le due guerre ebbe una emorragia di circa 300mila emigranti per il mondo. La povertà e la miseria è stata la cifra di una terra che, dopo la seconda guerra mondiale, era l’ultima fra le regioni italiane per ricchezza pro-capite. La Dc di Remo Gaspari e di Lorenzo Natali capì che l’unica strada da battere era un piano gigantesco di infrastrutture e l’arrivo dell’ industrializzazione, che fu selvaggia e non poteva essere diversamente.
Arrivarono il lavoro, i diritti, il salario, il benessere .Il progresso. A metà degli anni Ottanta del Novecento, l’Abruzzo usciva dalla povertà e dagli aiuti europei, il suo Pil era pari a quello delle Marche. Il Sud era lontano. Gli impiegati nell’industria vivevano di Texas Instruments, Pilkington, Honda, Sevel…..
La fine della Dc, la crisi dell’industria nazionale, il declino del Paese hanno mandato in cisi in maniera rapida e pesante una regione gracile, dove il reddito maggiore è sempre arrivato dal pubblico impiego. Oggi l’Abruzzo è prossimo al declino. Il suo peso ai tavoli romani è quasi nullo e i tavoli romani possono al massimo guardare al terremoto dell’Aquila. Finita la festa, rimangono i rifiuti. Il giacimento dei veleni di Bussi, il declino industriale della Val di Sangro e della Val Pescara, la cementificazione della costa che non ha uguali in Italia, l’inquinamento atmosferico (la città di Pescara è al livello di Brescia), i fiumi ridotti a discariche, il mare che accoglie quei fiumi. La foglia di fico è stata costituita dai tre Parchi nazionali che hanno protetto l’Abruzzo interno, ma che sono ogni giorno in pericolo.
I pastori della leggenda si vedono solo a Natale, nei presepi viventi che ricreano per qualche ora una magia che non c’è più.