Austerità: in Italia è finita da 3 anni, ma sono 20 anni che da noi va male

di Fabio Colasanti
Pubblicato il 17 Dicembre 2017 - 06:52 OLTRE 6 MESI FA
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Austerità: in Italia è finita da 3 anni, ma sono 20 anni che da noi va male

Una cosa che colpisce è come il concetto di “austerità” venga spesso utilizzato a sproposito nelle discussioni che si vedono sui social networks e nel dibattito politico.   Per di più, molti non sembrano essersi resi conto del fatto che nell’eurozona e in Italia nel corso degli ultimi tre anni non c’è stata nessuna austerità.

 

Per austerità si intende una politica economica restrittiva, di solito ottenuta attraverso una riduzione deliberata del saldo del bilancio pubblico.   Questa viene misurata dalla variazione del saldo primario (al netto del pagamento degli interessi sul debito pubblico) corretto per le variazioni cicliche.   In questa maniera si coglie la variazione del saldo di bilancio che è dovuta alle decisioni discrezionali delle autorità.   La contabilità nazionale nella maggioranza dei paesi non fornisce direttamente questo dato il cui calcolo ha bisogno di una stima del tasso di crescita potenziale di ogni paese.   Da qualche anno però, la Commissione europea rende pubbliche le sue stime per questa grandezza nella base dati Ameco che viene aggiornata tre volte all’anno.

 

Nel dibattito pubblico si sente spesso affermare che “l’austerità non funzionerebbe”, che “l’austerità deprimerebbe la crescita” o che “l’austerità farebbe male”.   Queste affermazioni mostrano come si intenda l’austerità in una maniera sbagliata.   L’austerità non è una ricetta di politica economica fra tante che alcuni per miopia, per chiusura ideologica o per semplice ignoranza seguirebbero a discapito di altre ricette economiche migliori.   L’austerità è qualcosa che nessun governo vorrebbe mai applicare, ma che in alcune situazioni appare inevitabile.   Le tante discussioni tra economisti non sono sul sapere se l’austerità faccia bene o male alla crescita, sono sulla valutazione della situazione e sulla possibilità o meno di evitare un periodo di “austerità”.

 

Che una contrazione del saldo di bilancio deprima nel breve termine la domanda e la crescita è una cosa che si insegna all’università nei primissimi corsi di economia.   Che un deterioramento del saldo di bilancio sostenga la crescita nel breve periodo è ugualmente risaputo e accettato da tutti.   Il 26 novembre del 2008 la Commissione europea propose a tutti i paesi europei di deteriorare i loro saldi di bilancio in maniera deliberata e coordinata per una cifra (170 miliardi di euro) pari all’1.2 per cento del loro PIL per ridurre l’impatto della recessione attesa per il 2009.   Questo stimolo avrebbe dovuto aggiungersi al deterioramento del saldo di bilancio provocato naturalmente dal rallentamento economico.   Il 16 novembre scorso, la Commissione europea ha invitato di nuovo i paesi con margini di manovra a deteriorare i loro bilanci di mezzo punto di PIL per avere un insieme di politiche economiche in Europa più equilibrato.

 

John Maynard Keynes ci ha spiegato come la spesa in disavanzo serva a sostenere la crescita durante un periodo di recessione.   Ma questo sostegno può essere solo temporaneo.   Quando la crescita ritorna bisogna avere un avanzo di bilancio per poter correggere l’aumento del debito pubblico che si è verificato durante il periodo in cui si è utilizzata la spesa in disavanzo per sostenere la domanda interna e la crescita.

 

Se fosse possibile sostenere la crescita nel lungo termine facendo sempre nuovi debiti senza che questo provochi un aumento insostenibile del debito pubblico avremmo scoperto l’equivalente economico del mito del “moto perpetuo” in fisica.   Tutti i governi non farebbero altro che fare nuovi debiti.   Nel caso italiano le cifre sono impietose.   Da quando siamo entrati nell’unione monetaria fino alla fine di quest’anno avremo fatto poco più di mille miliardi di euro di nuovi debiti (più di ogni altro paese europeo, Francia esclusa).   Una media di ben oltre cinquanta miliardi di nuovi debiti all’anno.   A fronte di questa montagna di debiti, abbiamo solo una crescita media nello stesso periodo di meno di mezzo punto di PIL all’anno.

 

Quindi l’austerità, con una connotazione negativa, si può riferire solo ad una riduzione non necessaria del disavanzo di un paese o ad una riduzione del disavanzo troppo rapida.   Ma in molti casi un taglio del disavanzo è inevitabile; basta pensare al caso della Grecia dove il disavanzo aveva superato nel 2009 il 15 per cento del PIL.   È assolutamente legittimo e necessario discutere se in una certa situazione un miglioramento discrezionale del saldo di bilancio (austerità) sia necessario o no.   Rispondere a questa domanda non è mai facile, ma non utilizziamo a sproposito il termine di austerità e non immaginiamo che ci sia qualcuno al mondo che pensi che sia una cura che faccia bene.   Per trattare alcune forme di tumore la chemioterapia è indispensabile, ma nessuno sostiene che questa faccia bene.   L’austerità di bilancio è, per certi aspetti, come la chemioterapia.

 

La paura che il default della Grecia potesse ripetersi in altri paesi europei portò moltissimi paesi europei a prendere misure di bilancio restrittive (una buona dose di austerità) nel 2011, 2012 e 2013.   Questo ebbe come effetto il ricadere in una seconda recessione di metà dei paesi dell’Unione europea nel 2012-2013.  Le cifre pubblicate dalla Commissione europea (e confermate dall’OCSE e dal FMI) mostrano chiaramente il verificarsi di questa politica di bilancio restrittiva.

 

Ma nel 2014 l’orientamento della politica di bilancio della zona euro divenne neutro e lo è restato fino ad oggi.   Questo giudizio tiene conto delle inevitabili imprecisioni nella misura dell’orientamento della politica di bilancio, ma il segno delle variazioni del saldo primario corretto per il ciclo mostra addirittura una leggerissima tendenza espansiva.   La stessa cosa è successa in Italia dove la politica di bilancio è stata restrittiva (austerità) nel 2011-2013, ma dal 2014 ad oggi è stata leggermente espansiva.   Considerando poi che dall’inizio del 2015, la politica monetaria della zona euro è stata iperespansiva, la conclusione è che negli ultimi tre anni non c’è stata nessuna politica economica restrittiva, nessuna austerità, ne nell’eurozona, né in Italia.