Beppe Grillo, l’asino della politica. Fallimento M5s dopo mesi di proclami

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 12 Giugno 2017 - 10:40 OLTRE 6 MESI FA
Beppe Grillo, l'asino della politica. Fallimento M5s dopo mesi di proclami

Beppe Grillo, l’asino della politica. Fallimento M5s dopo mesi di proclami (foto Ansa)

ROMA – Giuseppe Turani ha pubblicato questo articolo anche su Uomini e Business con il titolo “Grillo, l’asino della politica”.

Qui in Italia crolla per la prima volta il Movimento 5 stelle, si riforma un sistema bipolare, in Francia Macron ottiene un risultato così straordinario che di fatto non ha opposizioni e il movimento populista di madame Le Pen scompare dalla scena politica.

Conviene, prima di parlare dell’Italia, spendere due parole sui cugini francesi perché c’è un legame.

Dopo la vittoria nelle elezioni presidenziali si era detto che l’onda populista, già in difficoltà in altri paesi (Olanda, Germania) era stata bloccata in Francia. Le elezioni politiche di ieri, primo turno, hanno confermato questa tendenza, cancellando il movimento di madame Le Pen, i socialisti francesi e riducendo la sinistra-sinistra di Malenchon a una presenza marginale.

I risultati hanno sorpreso tutti, ma solo perché non si è stati abbastanza attenti: il successo di Macron nasce dal fatto di non aver avuto, di fatto, avversari.  A destra ha avuto una specie di pazza, madame Le Pen, che da anni è arroccata su posizioni (razzismo, anti-euro, ecc.) che in Europa suonano ormai come moneta falsa. A sinistra aveva i socialisti, ormai disfatti e senza leader, e una formazione di ultra-sinistra quasi irreale nei suoi programmi.

In questo contesto, Macron, che si è presentato con un’immagine e un programma fortemente europeo, fortemente agganciato alla potenza forte tedesca e fortemente innovatore, poteva solo vincere. L’ampiezza del successo ha stupito lui per primo, ma testimonia solo una cosa: la gente è stufa di gente che propaganda soluzioni fantasiose e non realizzabili.

In Italia la lettura dei dati delle amministrative non è molto diversa. Anche se va fatta una precisazione importante. Le nostre sono elezioni amministrative e nelle amministrative i “nuovi” movimenti (tipo 5 stelle, che non hanno avuto il tempo di radicarsi territorio) ottengono scarsi risultati.

Ma, nonostante questa precisazione, il crollo dei ragazzi di Grillo è impressionante. Sono fuori da tutte le gradi città, scomparsi. E, tranne qualche eccezione, raccolgono risultati quasi ridicoli, spesso inferiori al 10-15 per cento. Sono cioè una forza marginale. E questo nonostante il divertente siparietto della solita 7 tv. Prima di dare i risultati di domenica, è andato in onda un sondaggio sulle prossime politiche da cui 5 stelle risultavano il primo partito nazionale, con il 30 per cento. Pochi secondi dopo: crollo nelle amministrative. Di 30 per cento nemmeno uno, molti 20 e 10 per cento.

Questi sono i numeri. E il senso politico? Il primo dato è appunto la crisi profonda dei 5 stelle. Dopo mesi di sondaggi vittoriosi (probabilmente farlocchi) alla prima prova elettorale falliscono su tutta la linea e non portano a casa nemmeno la metà di quanto indicato dai sondaggisti più spericolati, che scambiano dichiarazioni esasperate (“Basta, sono stufo, voto per Grillo”) per vere intenzioni di voto.

Ma il peggio, in un certo senso deve ancora venire. E consiste in due fatti: il crollo dell’autorità di Grillo e la guerra interna, mai stata così violenta. Per il guru del Movimento, fino a ieri sempre facilmente vittorioso, questa è la prima pesante sconfitta: a Parma ha voluto espelle Pizzarotti per ragioni ideologiche strambe (niente bruciatore dei rifiuti) e il movimento è ridotto al lumicino, scomparso. E anche altrove, come si è già detto, risultati umilianti: il Movimento non è il primo partito e nemmeno il secondo, spesso il terzo o il quarto. Il capo, insomma, il padrone assoluto, si è rivelato un asino politico, che ha trascinato tutti in una palude, e che chiaramente non sa organizzare le truppe, guidato solo dalle sue bizzarre visioni ideologiche (rifiuti, vaccini, no-euro, ecc.).

Ma poi ci sono i colonnelli. Molti di loro sanno che non saranno rimessi in lista e quindi sono un po’ sul piede di guerra, tornare a fare i baristi o gli impiegati dell’Asl non piace a nessuno. Il crollo di ieri consente quindi a tutti quelli un po’ marginali, e quindi sacrificabili, di sparare sul quartier generale, cosa che stanno già facendo e con grande allegria. Il cerchio magico dei preferiti di Grillo è sistematicamente bersagliati da colpi di bazooka. Sparano a loro perché ancora non osano aggredire il comico dalla chioma bianca, ma ci si arriverà. Anche perché se si vota a maggio-giugno dell’anno prossimo, ci sarà tutto il tempo per il Movimento di avvitarsi su sè stesso e alla fine implodere. Fra i capi d’accusa più pesanti: aver scelto per Roma e Torino due ragazze di buona resa televisiva, ma incapaci, disastri dopo disastri. Ma nei prossimi mesi verrà messo in discussione tutto.

Dalle amministrative e dalle elezioni francesi si ricavano altre due indicazioni. La destra italiana, se riuscisse a liberarsi delle sue scorie (razzismo, no euro, ecc.) e a riunificarsi, potrebbe avere ancora un peso. Le elezioni, infatti, hanno stabilito che questo, nei fatti, è ancora un paese bipolare: nei grandi centri si misureranno destra e sinistra. Il terzo, i 5 stelle, è fuori gioco, fa tappezzeria.

Ma c’è un insegnamento profondo anche per la sinistra, per il Pd. In Francia Macron ha rotto tutti i ponti e si è presentato come democratico-liberale di sinistra. Non si è preoccupato della storia politica della sinistra o di quello che c’era alla sua sinistra, tanto o poco. In un certo senso è ripartito da zero. E ha spianato tutto. Prova plastica che tutte quelle vecchie parole d’ordine ottocentesche sono davvero roba vecchia, barlafus, si dice a Milano. Materiale per i rottamatori, inservibile nel mondo moderno.

La storia del Pd e della sinistra italiana è molto diversa e quindi non si sa che scelta farà il Pd. Certo che la tentazione di seguire i francesi e di non perdere tempo con una formula probabilmente superata dalla storia, il centrosinistra, è forte.

Ieri in conclusione, sono arrivati, dall’Italia e dalla Francia, due messaggi importanti. Il primo è che il populismo, se il cielo vuole, non è il nostro inevitabile destino. Il secondo è che c’è fame di idee nuove, di gente che abbia qualche idea sensata su come si può crescere.

Tutto il resto è aria fritta, buona solo per editoriali di personaggi consunti, ex maître à penser, brontosauri sopravvissuti al cambiamento climatico.