Berlusconi quel no al rosso Sarri. Scelse il nero Mihajlovic

di Emiliano Condò
Pubblicato il 5 Ottobre 2015 - 15:22| Aggiornato il 6 Ottobre 2015 OLTRE 6 MESI FA
Maurizio Sarri

Maurizio Sarri

NAPOLI – Non è per la tuta. Neppure per la barba sempre incolta e un po’ ispida. E nemmeno per quella montatura degli occhiali un po’ troppo spessa. Maurizio Sarri, classe ’59, da Napoli è il tecnico del Napoli (e non del Milan) per ben altri motivi. Motivi che tornano a galla in un lunedì in cui il Milan si lecca le ferite di quattro cazzotti che proprio il Napoli di Sarri gli ha rifilato.

Andiamo con ordine. A marzo dell’anno scorso Sarri è sulla panchina dell’Empoli. E’ praticamente già salvo, fa un calcio solido e a tratti anche divertente con una squadra che non è di certo il Milan. Nello stesso tempo Berlusconi e Galliani hanno già dovuto fare i conti e ingoiare il boccone amaro di un altro flop. Filippo Inzaghi ha fallito, come prima di lui Clareence Seedorf. E’ tempo di trovare un sostituto. E tra i papabili c’è proprio Sarri. Prima che un tecnico è un insegnante di calcio. C’è qualcosa nella sua storia che fa pensare ad Arrigo Sacchi. E’ uno che valorizza i giocatori, che parte dalla difesa. E’ un uomo da progetto. Il nome non è altisonante, ma allo stesso modo non lo era quello di sacchi. Il “look” non è da Milan, ma su questo ci si può passare sopra.

Ma la candidatura di Sarri evapora. Perché Sarri è comunista. Era successo a Zaccheroni, che pure era molto meno comunista di Sarri e che comunque col Milan prima di essere cacciato era riuscito a vincere uno scudetto. Agli occhi di Berlusoni diventò insopportabilmente comunista quando i risultati smisero di arrivare. Il tecnico di Napoli, invece, al Milan non ci arriva proprio: troppo rosso.

C’entra, forse, una intervista che lo stesso Sarri rilascia a dicembre  2014 a Andrea Scanzi per il Fatto Quotidiano. Sarri parla (tanto) di calcio, dei suoi 33 schemi, di una vita nemmeno da mediano, da molto meno, da difensore centrale coi piedi fucilati che smette di giocare per un infortunio grave. Poi parla un po’ anche di politica. Risponde a domanda su Renzi stroncandolo e spiega che voterebbe volentieri un Landini:

Lei legge molto: Bukowski, Fante, Vargas Llosa.
Mi piace andare per biblioteche, annusare la carta, guardare le quarte di copertina. La musica non riesco ad amarla, ma senza libri non saprei stare.
Non pare amare granché neanche Renzi.
Mi fa paura che si distrugga l’articolo 18 nell’indifferenza pressoché generale. Sono nato a Napoli ma sono di Figline Valdarno, due passi da Rignano. Renzi mi pare uno che fa le stesse cose di Berlusconi, o quasi. Mio nonno era partigiano e mio padre operaio: come faccio a votare Renzi? Però neanche voto 5 Stelle: non ce la faccio.
Magari aspetta Landini.
Diciamo che, se facesse politica, lo ascolterei con attenzione. Una volta ero in volo con una mia squadra. Vedo Franceschini. Mi alzo e gli siedo accanto. Gli chiedo: “Senti, mi spieghi una cosa. Com’è che in Italia la sinistra non fa mai una cosa normale”?
E Franceschini?
Mi ha detto che, in effetti, avevo ragione.

In quel periodo Mihajlovic è allenatore della Sampdoria. In un giorno libero cosa fa? Va a vedere gli allenamenti di Maurizio Sarri. Va a imparare da un maestro di calcio. Il tecnico apre le porte e spiega che “le idee devono circolare”.

Passa qualche mese e sulla panchina del Milan finisce non il comunista Sarri ma proprio Mihajlovic, che pur avendo qualche volta manifestato nostalgia per Tito, proprio comunista non è. Di lui, in verità, si dice spesso e volentieri il contrario. Che sia “nero”. La storia del famoso striscione per la “tigre Arkan”, al secolo Željko Ražnatović, un signore incriminato per un lungo elenco di crimini di guerra ma assassinato prima del processo, la dice lunga. Quello striscione fu realizzato dagli ultras della Lazio in solidiarietà a Mihajlovic ma non manca chi sostiene una realtà diversa: che fu lui a commissionarlo.

Mihajlovic ha tutto quello che non ha Sarri: ha il look, l’eleganza. E’ un personaggio che buca il video, che piace ai giornalisti perché dà i titoli. E’ uno che non ha paura di essere divisivo, che dice le cose senza preoccuparsi delle conseguenze. O forse per innescare le conseguenze. E’ l’uomo mediatico per il rilancio mediatico del Milan. Il problema è il rilancio tecnico e il Mihajlovic tecnico. A Catania ha fatto bene ma non meglio di altri, a Firenze così così, a Genova (sponda Samp) ha ottenuto una qualificazione in Europa via ripescaggio in un anno in cui le milanesi non hanno praticamente cominciato il campionato.

A Milano ha voluto e fatto strapagare Alessio Romagnoli, uno a cui è stata affibbiata l’etichetta di “nuovo Nesta” con una leggerezza e una superficialità allarmante. E Mihajlovic ha addosso una buona responsabilità di quella etichettatura prematura. I risultati che si vedono, per ora, sono inquietanti. Forse Berlusconi avrebbe fatto meglio a turarsi il naso e a sopportare un comunista in casa. Soprattutto se quel comunista si chiama Maurizio Sarri ed è uno dei pochi insegnanti di calcio rimasti in circolazione.