Brexit, incubo No Deal. Giampaolo Scacchi: gli inglesi fanno incetta di prosecco

di Giampaolo Scacchi
Pubblicato il 17 Marzo 2019 - 08:21| Aggiornato il 25 Settembre 2019 OLTRE 6 MESI FA

di Giampaolo Scacchi

In questi ultimi giorni il parlamento britannico è stato impegnato in riunioni per decidere di come procedere alla così detta Brexit ovvero all’uscita della Gran Bretagna dalla UE a seguito della volontà espressa dal popolo britannico con il referendum tenutosi il 23 giugno 2016, che si è concluso con la vittoria del fronte favorevole all’uscita (52%). E che  a seguito  di un emendamento del primo ministro Theresa May alla Withdrawal Bill (o Repeal Bill), la legge quadro sul divorzio dall’Ue ha poi fissato la data dell’uscita per venerdì 29 marzo 2019, alle ore 23.  

Ripercorriamo con Giampaolo Scacchi gli ultimi frenetici giorni e le votazioni del parlamento britannico.

Il 12 marzo il parlamento ha votato e bocciato l’accordo per l’uscita raggiunto a novembre del 2018 tra la premier Theresa May e l’Unione europea. Un accordo, costituito da 585 pagine di Withdrawal Agreement – intoccabili per l’Ue – e da una dichiarazione politica, che è teso a regolare il divorzio tra Londra e Bruxelles e che è stato rimodulato l’11 marzo nella parte riguardante il cosiddetto backstop, la clausola di salvaguardia sul mantenimento di un confine aperto fra Irlanda del Nord e Irlanda.

Il 13 marzo il parlamento ha bocciato il no deal, ovvero di una uscita senza accordo di Londra dalla Unione europea. Tuttavia  anche se il testo non precludeva un no deal in futuro “ il Parlamento non approva la Brexit il 29 marzo senza un accordo di recesso o un’intesa quadro sui rapporti futuri, m nota che un no deal resta conseguenza a meno che la Gran Bretagna ed Unione Europea ratifichino un’intesa”, il parlamento è andato oltre votando a favore di un emendamento proposto da deputati conservatori e laburisti, che respinge tout court l’idea di un’uscita senza accordo, ora de in futuro, in qualsiasi circostanza.

Il 14 marzo il parlamento ha approvato il rinvio el divorzio oltre la data, ormai imminente, del 29 marzo 2019. Il testo, approvato con 412 voti favorevoli e 210 contrari, incarica il governo di richiedere alla Ue un’estensione dell’articolo 50 (il meccanismo, istituito dal Trattato sulla Unione europea, che disciplina l’uscita di uno stato membro dalla Ue).

Ora il futuro della Brexit è appeso, ancora una volta, all’accordo di divorzio tra Londra e la UE già respinto due volte dai parlamentari britannici. La proposta di Theresa May dovrà essere rivotata il 20 marzo, aprendo due scenari diversi: se i parlamentari approvano la mozione, il governo chiederà un’estensione breve fino al 30 giugno.

Se i parlamentari respingono nuovamente la mozione, il governo chiederà un’estensione «più sostanziale», ovvero più lunga. Sempre che l’Europa dia il suo assenso, dopo un tira e molla che sta irritando i vertici comunitari e facendo sbilanciare alcuni Paesi verso l’ipotesi di un no-deal.

Intanto analizziamo l’impatto che potrebbe avere l’uscita sull’import sul nostro Paese. Si consideri che con un valore vicino ai 56 miliardi di euro, il Regno Unito rappresenta il sesto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari e il secondo per consumi a livello europeo (250 miliardi di euro nel 2017, ultimo dato aggiornato).

In questo contesto, l’Italia figura come il sesto fornitore, con una quota a valore vicina al 6% dell’import britannico. Vista dall’altra sponda, la Gran Bretagna si configura invece come il nostro quarto mercato di export agroalimentare più importante dopo Germania, Francia e Stati Uniti con un giro di affari di 3,4 miliardi di euro nel 2018, +2,7% sul 2017 (Fonte: Istat) come stimano gli ultimi dati elaborati da Federalimentare.

Un mercato – quello inglese – che nell’ultimo decennio (2001-2017) ha visto aumentare i propri acquisti di prodotti del made in Italy del 43%, ben più di quanto fatto nei confronti dei nostri concorrenti francesi o olandesi, ma meno rispetto a quelli spagnoli o tedeschi (+55%).

Sono numeri che fotografano in modo nitido qual è la posta in gioco per le nostre imprese del food & beverage, che in questi mesi hanno vissuto con legittima apprensione le vicende sulla Brexit.

Molti britannici sono preoccupati a loro volta. Il prosecco è diventato la bevanda favorita nella terra di Albione, dove ha superato lo champagne francese. Ora, in vista della Brexit, c’è chi fa scorte di prosecco e anche di parmigiano, ideale per accompagnare un drink. Un grande importatore di vini inglese ha accumulato scorte di prosecco per milioni di sterline, per non fare mancare ai suoi clienti il prodotto in caso di hard brexit.

Di buono c’è che, a sorpresa, il voto deliberato il 13 marzo dalla Camera dei Comuni (312 voti a favore contro 308 contrari) ha sancito ufficialmente che se il Regno Unito lascerà la Ue, la separazione potrà avvenire soltanto dopo un accordo bilaterale.

Decisione che, per il momento, lascia inalterata la situazione degli scambi commerciali tra le due sponde della Manica, salvaguardando il riconoscimento delle nostre indicazioni geografiche: dalle Dop alle Igp fino alle specialità tradizionali garantite.

Decisione, conclude Giampaolo Scacchi, che soprattutto ripristina un clima di cauta fiducia sul futuro della Brexit, dopo che le prime avvisaglie di un possibile “no deal” si erano già avute nei mesi successivi alla dichiarazione di uscita dall’Ue, sancita con il referendum e con una sterlina svalutata di oltre il 10% rispetto all’euro.