Carlo Donat Cattin: un grande democristiano scomodo

di Carlo Luna
Pubblicato il 14 Marzo 2019 - 13:40 OLTRE 6 MESI FA
Carlo Donat Cattin: un grande democristiano scomodo

Carlo Donat Cattin: un grande democristiano scomodo

ROMA – “Non sono un ragazzo del coro”.

Con queste parole, Carlo Donat Cattin si presentò nel maggio del 1986 ai delegati del Congresso DC.

Voleva criticare radicalmente la cattiva abitudine dei dorotei, che formavano la corrente più consistente dell’arcipelago democristiano, di accordarsi in anticipo prima di ogni congresso con fanfaniani e sinistra di base di Marcora e De Mita, facendo fuori la sinistra “sociale” che lui guidava.

Il suo non era un gruppo di potere ma rappresentava ceti e interessi popolari.

Lo ricordo con alcuni episodi in parte inediti e lo rimpiango con nostalgia perché è stato anche un amico importante per mio fratello Alberto e per me.

Era solito affrontare direttamente le platee ostili, e lo aveva già dimostrato al congresso DC svoltosi a Roma ventidue anni prima, dal 12 al 17 settembre del 1964.

Dopo la relazione del segretario politico del partito, Mariano Rumor, il palazzo dei congressi dell’Eur era gremito. Si attendeva il discorso di Andreotti e i tifosi del divo Giulio erano la maggioranza del pubblico.

Guido Gonella, che presiedeva i lavori, diede la parola a Donat Cattin che esordì con questa micidiale frase: ” La relazione del segretario politico, su posizioni vecchie e stantie”…. Fu bloccato da un boato di disapprovazione.

Gonella sconfessò la contestazione scampanellando e riuscì a far cessare il clamore, e invitò Donat Cattin a “andare avanti”, tralasciando la frase che aveva scatenato il dissenso.

Lui non lo ascoltò e riprese: ”La relazione del segretario politico, su posizioni vecchie e stantie”…. Nuovo boato e nuovo tentativo di Gonella di calmare gli animi e di convincere l’oratore a superare lo scoglio.

Ebbene Donat Cattin ripeté la frase ancora per tre volte e solo all’ultima il pubblico abbozzò e lo ascoltò in silenzio.

La stampa gli era contro, soprattutto le grandi firme dell’ala più conservatrice.

Enrico Mattei, direttore della Nazione e del Carlino, lo definì “Sanculotto allobrogo”… Indro Montanelli scrisse che Donat Cattin era “Nino Bixio che cerca il suo Garibaldi e lo aveva trovato in Aldo Moro” ma fra i due c’erano stima reciproca, rispetto e nessuna subordinazione.

Più pesante Enzo Biagi che su un settimanale femminile lo classificò “fra i più sgradevoli personaggi d’Italia”.

Giudizi miopi e ingenerosi: la storia di Donat Cattin porta a tutt’altre conclusioni.

Era stato fra i fondatori della Cisl e occupava una posizione di rilievo nel sindacalismo cattolico.

Poi era entrato in politica dando vita, insieme con Giulio Pastore, alla corrente di sinistra sociale di Rinnovamento Democratico, che si contrapponeva alla sinistra di base di Marcora e De Mita.

Il meglio di sé come uomo di governo lo diede da Ministro del Lavoro ai tempi dell’autunno caldo del 1969.

All’epoca seguivo per l’Agenzia Italia le vicende sindacali e fui testimone e in parte protagonista minore del rinnovo del contratto dei metalmeccanici.

Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm Uil, e gli industriali del settore erano giusti quasi al traguardo ma il leader del sindacato vicino al PCI voleva che si aspettasse ancora per dare la notizia ai media.

D’accordo con Donat Cattin e Carniti pubblicai sull’agenzia una notizia flash intitolata “Ipotesi di soluzione per il rinnovo dei metalmeccanici”, seguita dai dettagli dell’intesa raggiunta.

La Fiom, irritata, subì.

La vicenda Moro sconvolgerà in seguito il Paese e il suo quadro politico.

Donat Cattin su La Gazzetta del Popolo del 16 marzo 1979 interpreterà i dubbi e i tormenti suoi e di molti cattolici.

“Potevamo essere – si chiedeva – meno rigidi? Dovevamo agire di più, inventare, sommuovere, minacciare, ritorcere, pagare, pregare di più per ottenere la salvezza?… un malessere mi percorre e un senso di colpa personale e di pena mi stringe.

Da allora, il cuore sarà inquieto, per sempre”.

Un cuore che si fermerà il 17 marzo 1991.