Moro, rapimento e assassinio, due commissioni parlamentari d’inchiesta divise su trattativa o fermezza

di Carlo Luna
Pubblicato il 13 Giugno 2021 - 08:16 OLTRE 6 MESI FA
Moro, rapimento e assassinio, due commissioni parlamentari d'inchiesta divise su trattativa o fermezza

Moro, rapimento e assassinio, due commissioni parlamentari d’inchiesta divise su trattativa o fermezza

Aldo Moro, la sua morte in Parlamento. La Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’assassinio di Moro si riunì per la prima volta il 5 marzo 1980, 12 anni dopo la strage di Via Fani. La relazione di maggioranza fu approvata il 29 giugno del 1983, con il consenso dei deputati e dei senatori che avevano sostenuto la linea della fermezza.

Nelle conclusioni il Presidente, il democristiano Mario Valiante, approvava (“senza sé e senza ma” mi sembra), quanto deciso nel 1978 da Governo e Parlamento. La relazione di minoranza, invece, fu votata dai socialisti e dai radicali, che avevano proposto di trattare per salvare la vita del Presidente della Democrazia Cristiana.

Il documento Valiante riletto oggi fa una sgradevole impressione.

Sottolinea il “pieno accordo” tra DC, PCI, PRI, PLI e PDUP sulla necessità di non cedere al ricatto dei terroristi per “orientare la società civile” ad isolarli politicamente, creando le premesse per “la sconfitta del progetto eversivo e per la condanna dei responsabili”.

La fermezza poi, aveva persino la virtù di dare” forza e fiducia a coloro che nelle istituzioni si battevano coraggiosamente contro l’offensiva terrorista”. Non se ne poteva proprio fare a meno….

A seguire Valiante tentava di ridicolizzare i socialisti perché “erano convinti che proposte capaci di aprire realmente un varco alla trattativa, avrebbero potuto essere realizzate solo a costo di gravi violazioni della legalità, improponibili all’opinione pubblica e non accettate dal governo e dagli altri partiti”. Bleffavano?

Commissione parlamentare su Moro, la relazione di minoranza

La relazione di minoranza smantellò   questa ricostruzione sostenendo che era lo Stato che aveva ricevuto “una dura sconfitta” mentre in sede politica, non si era andati “oltre la replica degli schieramenti e delle tesi che durante il sequestro di Aldo Moro si contrapposero”.

Secondo i socialisti “Errori e omissioni avevano negativamente condizionato l’azione del Governo, dei suoi apparati e degli altri organi dello Stato, nella ricerca dei colpevoli e nell’impegno per tutelare il diritto alla vita del cittadino Aldo Moro”. nonché nella gestione politica della crisi.

Era un paradosso, a loro avviso, la pretesa della relazione di maggioranza di “dimostrare che la proposta che venne solo avanzata non avrebbe potuto avere successo, e dimenticare invece che la linea che venne effettivamente praticata portò all’insuccesso.

Su quella diatriba del 1983 l’unico punto sul quale si può essere d’accordo è che la Commissioni aveva fallito.

Se ne farà un’altra nel 1999, presieduta dal democristiano pugliese Giovanni  Pellegrino, che porterà a conclusioni diverse.

Cambiava la musica e la fermezza su Moro perderà colpi

Pellegrino sostenne che “Le occasioni sprecate in quei 5 giorni sembrano moltissime”. Ecco la principale: nel 1975,3 anni prima di Via Fani, la Questura di Roma aveva monitorato il gruppo brigatista di Morucci e se fosse stato pedinato Pace la polizia avrebbe potuto arrestare Morucci e scoperto il covo di Via Gradoli. Il caso Moro avrebbe avuto, a giudizio del magistrato Rosario Priore, un esito diverso.

Nella prossima puntata rileggeremo le più incisive lettere di Moro. Della prima a Cossiga abbiamo già detto. In quelle successive assistiamo alla progressiva, crescente, indignazione del presidente della DC.

Il tono deferente della missiva al Ministro dell’Interno verrà presto abbandonato e la rottura con la Democrazia Cristiana sarà completa e irreversibile. Moro, amareggiato e disperato si rifugiò nella preghiera e negli affetti familiari. Aveva capito che la Ragion di Stato lo porterà sul patibolo.

(9-Continua)

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