Leopolda fa 12 mila persone. Cgil un milione. Ma è un pareggio

di Claudia Fusani
Pubblicato il 25 Ottobre 2014 - 20:15 OLTRE 6 MESI FA
Leopolda fa 12 mila persone. Cgil un milione. Ma è un pareggio

Leopolda fa 12 mila persone. Cgil un milione. Ma è un pareggio

FIRENZE – Se doveva essere una prova di forza, non ci sono vincitori nè vinti. Chi li cerca, li ha cercati, passa queste ore cercandoli, provocandoli, rischia di restare deluso. Il 25 ottobre italiano, il Dday della sinistra, “il giorno della scissione” secondo il presagio di certa parte destra alla disperata ricerca di argomenti, passa senza morti nè feriti. E neppure prigionieri.

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La Leopolda numero 5 non diventa “troppo di governo” dopo quattro manifestazioni all’opposizione e si mantiene di proposta nel suo primo anno al governo. La manifestazione della Cgil a Roma vince perchè porta in piazza il milione previsto, forse anche un milione e mezzo. E perchè il segretario Camusso, che pure suggerisce a Renzi di “stare sereno” e gli dedica la nuova versione di Ufo robot (“mangia libri di cibernetica/insalate di matematica/e al governo sta…”), è molto attenta a non incendiare una piazza che forse neppure vuole prendere fuoco. Quindi il jobs act è da rivedere ma “l’articolo 18 è un’ossessione per Renzi e per noi non è un totem” ha tagliato corto il segretario della Cgil. “Il governo deve ascoltare la piazza che rivendica il confronto e il diritto di avanzare proposte” è stato l’appello del segretario della FIOM Maurizio Landini.

Renzi, a trecento chilometri di distanza, nel garage work in progress della Leopolda, passa la mattinata in filo diretto con Roma: vuole sapere come va, quanti sono, cosa dicono, chi c’è. Mai quando parla o interviene accenna alla marcia rossa a Roma. Solo nel primo pomeriggio, a cose fatte, il premier ma qui non segretario, annunciando il programma dice che “adesso sentiremo le storie di imprenditori che hanno creato lavoro. Perchè qui parla l’Italia che crea posti di lavoro”. Nessun riferimento specifico. Ma più che allusivo: c’è chi protesta; e c’è chi propone. Poi bisogna fare. Anche nelle parole del ministro Boschi (“contenti per successo manifestazione, noi rispondiamo con lavoro serio”) c’è la ricerca di una continuità e non l’opposizione con piazza S.Giovanni.

I leader hanno dunque cercato di evitare i frontali. Anche perché non servirebbero a nessuno. E questo delude il popolo di destra che sperava di vedere il sangue. Detto questo la giornata è stata segnata anche dagli scontri. Ma, senza offesa per nessuno, tra personaggi laterali. Il mix di Twitter, Facebook, Instagram combinato con giornali on line e canali tv al news può essere da questo punto di vista simpaticamente micidiale.

Rosi Bindi e Debora Serracchiani hanno litigato, la prima a Roma la seconda a Firenze, in diretta tv su Skytg24. “Con la Leopolda si vuole fare un altro partito» visto che «la dirigenza composta dal segretario, da due vicesegretari e da mezzo governo sceglie di discutere di futuro ad una manifestazione finanziata da imprenditori e finanzieri dove il simbolo del Pd neppure compare. Avete organizzato la prima manifestazione post Pd..”. Piccata la replica di Serracchiani prima di staccarsi il microfono: “abbiamo fatto mesi di dibattiti. E feste dell’Unità, se non hai partecipato mi spiace”.

Ma lo scontro più grosso l’ha innescato il finanziare Davide Serra, finanziere, gestore del fondo Algebris e uno dei principali sponsorship della Leopolda (accusata di essere il germe di un partito parallelo visto che ha raccolto due milioni di donazioni). Serra era il coach a uno dei 52 tavoli tematici della mattina alla Leopolda (altri 52 hanno lavorato il pomeriggio dalle 16 alle 18 e 30). E a margine dei lavori della sua sessione su imprese e partita IVA, se n’è uscito con un paio di affermazioni che hanno scatenato il delirio. Serra prenderà “la tessera del Pd a Londra. E sull’annuncio della Cgil circa un possibile sciopero nazionale, dice che il diritto di sciopero è contro l’interesse degli italiani”. Parole che rimbalzano subito via web. Panico. Ma che non sono condivise dal governo. Renzi, sempre nel backstage del garage, fa smentire subito dal tavolo della regia della Leopolda affidato a Gregolent, Fanucci, Bonaccorsi e Famiglietti. Uno dietro l’altra arrivano anche le smentite e correzioni di Delrio e Madia. È la prova che Serra ha parlato di testa sua.

L’altra domanda del giorno è se la Leopolda riuscirà a superare “la prova freschezza” una volta arrivata al governo. Lo slancio e la propositività degli anni passati quando era ancora start up. La partecipazione è altissima, 12 mila persone tra venerdì e sabato. Record. Ma questo non qualifica visto che la presenza di mezzo governo è di per sè un’attrazione. Il test “prova freschezza” dipende molto di più dai tavoli tematici, 104 intorno ai quali cittadini qualsiasi, iscritti via mail, possono interloquire con un rappresentante del governo o un rappresentante delle imprese o solo del parlamento per proporre, dire cosa funziona e cosa no. Cosa manca e cosa serve. Abbiamo visto tavoli affollatissimi: riforme (Boschi), pubblica amministrazione (Madia), fondi europei (Delrio), immigrazione (Manzione), quale sistema di difesa (Pinotti), trasporto pubblico (Antonio De Caro, neo sindaco di Bari), città digitali (Nardella), carta dei diritti di internet (affidata alla new entry Gennaro Migliore) e via di questo passo. Ogni tavolo produce un paio di pagine di proposte, in punti, concrete. E poi si vede l’anno prossimo che fine hanno fatto. Il programma del governo Renzi è nato tra questi tavoli. Negli anni.

Il resto della storia la scriverà la cronaca dei prossimi giorni. E mesi. Chi ha vinto e chi ha perso il 25 ottobre 2014? Restando ad oggi, possiamo dire per certo che prende forma la big tent del partito unico renziano, quello che supera il partito identificabile con una comprovata carta di identità ideologica.

Una rivincita, anche, sui gufi della storia. A cui è dedicata l’iconografia della Leopolda. “Manca di immaginazione e non ha idee originali” disse il direttore del giornale che licenziò Walt Disney. “Non c’è alcun motivo per cui qualcuno dovrebbe avere un computer in casa” disse Ken Olson, presidente di Digital Corporation nel 1977. Anche la tshirt “Gufi? No grazie” è andata a ruba.