Una delle teorie più accreditate su genesi e ragioni della devastazione ambientale e quindi del disastro umano avvenuti a suo tempo nell’isola di Pasqua vuole che gli abitanti tagliarono a uno a uno gli alberi fino a fare dell’isola un deserto arido. E perché mai lo fecero? Forse non capivano, non sapevano che gli alberi erano utili, addirittura necessari? Sì, lo sapevano. Ma tagliarono, deforestarono, rasero al suola la flora e se stessi perché i tronchi degli alberi tagliati erano la piattaforma su cui muovevano le grandi statue dalla cava alla costa. E perché le grandi statue erano il potere. E perché il potere era la forza che stabiliva a chi i territori e le risorse alimentari…Insomma lo sapevano che stavano infliggendosi un danno ma ritennero di non poter farne a meno del danno, ne andava del potere, del cibo, dei riti, dei culti, delle abitudini, dei conflitti, delle conquiste… in una parola nella nostra lingua contemporanea ne andava dei soldi.
Faremo, stiamo facendo, in grande, quel che gli abitanti dell’Isola di Pasqua fecero in miniatura e che chissà quante altre volte hanno già fatto comunità umane grandi e piccole: sfasciamo, stiamo sfasciando ambiente e clima intorno a noi. Procurandoci prossimi ed enormi guai e lutti e disastri. Ma sembra proprio che non possiamo farne di a meno. Lo sappiamo che domani, già domani, sarà disastro. Ma l’oggi, il qui e e adesso dei soldi, è per l’umanità richiamo più forte di ogni ragione e consapevolezza.
L’Indonesia brucia le sue foreste per far posto alla palma da olio. Si procura nove miliardi di spese sanitarie per chi si ammala respirando i fuochi più che danteschi. E si assicura la mono cultura, cioè il passo immediatamente precedente l’inutilizzabilità del territorio. Oltre ai collaterali effetti di estinzione di habitat per fauna e flora. Ma qui e adesso incassa 18 miliardi dall’olio di palma. Quindi continua a dar fuoco a se stessa l’Indonesia.
E la Cina ha città dove nell’aria ci sono dalle 300 alle 600 particelle di polveri sottili (carbone, traffico, ciminiere, riscaldamento…). L’umano per non ritrovarsi con le particelle p.m. 2,5 ammonticchiate nei polmoni dovrebbe respirare aria dove al massimo le particelle sono a quota 25. Quattromila cinesi al giorno muoiono di fatto ammazzati dall’aria. E l’India è subito dietro: particelle a quota 300. Tre miliardi di umani dunque respirano da morirne. Ma cinesi e indiani accettano, sia pur soffrendo, che questo sia il prezzo da pagare per il biglietto di ingresso nel meraviglioso mondo dei consumi, accettano di morire…per soldi.
Non che gli occidentali a loro modo non facciano altrettanto. In Europa non c’è imprenditore che non lamenti il costo aggiuntivo che può metterlo fuori mercato…il costo della legislazione europea più severa ed efficace contro gli inquinanti. Più severa ed efficace ad esempio degli Stati Uniti. Dove robustissima è la parte di opinione pubblica che se ne frega e nega. E qui dalle parti nostre noi italiani siamo quelli che più di ogni altro facciamo pattumiera e discarica abusiva del nostro stesso territorio. I soldi sotto forma di profitto o appalto o tangente o criminalità o semplicemente sistema di vita, redditi, consumi, abitudini consolidate è più forte, molto più forte, nelle pubbliche opinioni di quanto non sia neanche alla lontana la voglia di fermarsi per non…morire di soldi.
I governi con cui è facile, ipocrita e perfino autolesionista prendersela, vanno di conseguenza. Limitare l’aumento della temperatura media del pianeta a due gradi: è poco, è il minimo, è incerto. E tutti d’accordo, ovviamente tra la gente. In Italia, Cina, Russia, Brasile, Usa, Congo, Germania, Spagna, Malesia, Australia…Se però quel fermiamoci a due gradi in più significa precisamente e specificamente che in Italia, Cina, Russia, Brasile…una produzione e/o una merce devono costare di più o essere rallentate, allora il tutti d’accordo svanisce. Va così da millenni, probabilmente da sempre. L’uomo è animale sociale di grandissima intelligenza e adattabilità. Ma mai alle sue condizioni di vita ha applicato con razionalità il concetto di danno o beneficio differito in un tempo che vada oltre l’immediata fruizione dell’individuo o del gruppo.