Clima, la febbre globale al tavolo del G8. I rischi climatici potrebbero essere devastanti, ma gli interessi economici sono più forti del riscaldamento globale

di Stella Morgana
Pubblicato il 8 Luglio 2009 - 09:06| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il riscaldamento globale incombe sul summit degli Otto Grandi a L’Aquila. Finora il parametro utilizzato per stabilire la politica internazionale sul clima è stato quello dei due gradi. Apparentemente poco, ma se la temperatura globale scendesse di due gradi Celsius i danni irreversibili all’ecosistema potrebbero essere evitati.

Secondo nuovi studi adesso non è più possibile raggiungere l’agognato traguardo, e nemmeno auspicarlo. Il tasso attuale dei gas presenti nell’atmosfera, come l’anidride carbonica, è a un livello tale da fare aumentare le temperature tra i 2 e i 2,4 gradi Celsius. Se da un lato una riduzione drastica ed immediata delle emissioni risulta impossibile, dall’altro nei prossimi anni la concentrazione di gas nocivi nell’atmosfera aumenterà sistematicamente.

Secondo gli esperti ogni dieci anni il tasso di riscaldamento globale aumenta di 0,13 gradi e le previsioni sono assolutamente nefaste per l’ecosistema.

A L’Aquila due gradi sono veramente pochi, la temperatura aumenta subito alle prime luci dell’alba. Al tavolo del G8 i paesi industrializzati non possono ignorare l’allarme degli ambientalisti e degli studiosi: dall’ultima era glaciale la temperatura media del pianeta è aumentata di cinque gradi e un ulteriore aumento potrebbe portare a degli sconvolgimenti naturali devastanti.

Le foreste pluviali dell’Amazzonia e del Congo potrebbero inaridirsi, i ghiacciai prosciugarsi e quantità enormi di metano potrebbero fuoriuscire dal disgelo della crosta. Le previsioni degli scienziati fanno intravedere scenari apocalittici: i 35 miliardi di tonnellate che ogni anno entrano nell’atmosfera potrebbero distruggere il sistema.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali dei leader e i loro buoni propositi in tema di ambiente, i negoziati per un reale cambiamento di rotta delle politiche climatiche si sono arenate da mesi. Il termostato della terra è nelle mani dei paesi ricchi e industrializzati che, come gli Stati Uniti, avanzano interessi enormi nel bloccare l’avanzamento delle trattative sullo stop al riscaldamento globale.

La posizione degli Otto Grandi in tema di ambiente è particolarmente delicata, in vista del prossimo summit sul clima delle Nazioni Unite che si terrà a dicembre. Se il protocollo di Kyoto è stato largamente ignorato, il vertice de L’Aquila non porterà di certo il miracolo verde.

La Russia e il Canada hanno interesse a vendere i loro carburanti senza alcuna restrizione, mentre il Giappone teme qualsiasi perdita economica. Gli Stati Uniti si trovano da un lato a trainare la rivoluzione verde nella propaganda politica, dall’altro devono accettare il disinteresse diffuso che c’è tra i cittadini riguardo alle tematiche ambientali. Nonostante l’ampia spinta di Barack Obama al progresso della normativa sul clima, gli elettori americani non gradiscono un approccio così radicale alla questione e un presidente non può ignorarlo.

Solo il 30 per cento dei cittadini statunitensi vede l’ambiente come priorità nel programma di Obama. Dietro questo dato potrebbero nascondersi le grandi lobby del petrolio americane, la cui propaganda influenza l’opinione pubblica: secondo i dati diffusi dal World Resources Institute quasi un terzo delle emissioni di CO2 provengono dagli Stati Uniti.

Tutte le nazioni appartenenti al G8 raggruppano solo il 13 per cento della popolazione mondiale, ma in compenso hanno provveduto a caricare l’atmosfera del 60 per cento di anidride carbonica emessa dal 1850.

Appare molto probabile che, al summit dell’Aquila, cambieranno poche cose. Intanto la febbre globale sale e qualcuno prima o poi dovrà pagare il debito climatico.