Condono fiscale, prestito forzoso…il piano B dietro la lettera di Conte

di Francesco M. Renne
Pubblicato il 21 Giugno 2019 - 11:11 OLTRE 6 MESI FA
Condono fiscale, prestito forzoso...il piano B dietro la lettera di Conte (foto Ansa)

Condono fiscale, prestito forzoso…il piano B dietro la lettera di Conte (foto Ansa)

ROMA – Nella lettera di Conte alla Commissione UE, nell’ambito della procedura di infrazione per Debito pubblico eccessivo, a parte le (numerose e auliche) affermazioni autoassolventi e lo spostar la palla su (improbabili quanto discutibili) cambi di regole, di risposte “concrete” non v’è (alcuna) traccia. Così scrive Francesco M. Renne in questo articolo pubblicato anche da Uomini & Business diretto da Giuseppe Turani.

Se poi si lega il testo con l’intervento di ieri del sen. Alberto Bagnai, sovviene anche all’osservatore più disattento la dimostrazione plastica dell’influenza (negativa) sul Governo (con buona pace delle resistenze di Tria) della linea di pensiero di Bagnai, che, oltre alle solite “manipolazioni dialettiche” sulle cause della situazione attuale, auspica “passaggi preventivi segreti” (secretati, ai sensi dell’art.31 del regolamento del Senato) nelle competenti Commissioni Parlamentari (sostanzialmente, quella che lui presiede). Sia detto per inciso, a parere di chi scrive, l’influsso pare essere più del Bagnai-pensiero (nei toni e nella modulazione delle “consecutio” logiche) che di quello dell’esuberante Borghi; d’altronde, se si ha a disposizione l’originale, pare logico preferirlo (non me ne voglia il secondo, mi riferisco unicamente all’origine del loro storytelling) a una sua (sostanziale) copia.

Invero, è proprio il loro storytelling (che continua) a non convincere, tecnicamente parlando, chi qui scrive, basandosi questo sulla (retorica) rappresentazione di un Paese prevalentemente manifatturiero che ha perso la leva della svalutazione del cambio. Invece oggi siamo in un Paese dove la manifattura è sempre più interdipendente dai mercati internazionali, forse più trasformatrice che produttrice tout court, ad alto tasso di importazioni di materie prime ed energia, in media dimensionalmente piccola (e finanziariamente fragile) rispetto alle imprese straniere concorrenti e in un contesto con (ancora) un patologico tasso di propensione all’evasione fiscale.

È uno storytelling che mette sotto accusa il “surplus” tedesco – omettendo però di dire che anche l’Italia è in surplus, al terzo posto nella classifica UE – stigmatizzando il fatto che non sia destinato a maggiori investimenti strutturali, anche in innovazione tecnologica e tutela ambientale, nonché in strumenti di protezione sociale. Ma peraltro è un’accusa che poco regge, di fronte all’obiezione che se vi fossero maggiori investimenti e un effetto positivo sui moltiplicatori di spesa (come sostenuto proprio dalle tesi simil-neokeynesiane di questo governo), il gap aumenterebbe, non il contrario; e di fronte alla circostanza fattuale che il “surplus” è generato dal settore privato e non coincide con risorse pubbliche direttamente disponibili (semmai, il problema sarebbe l’inefficienza del sistema finanziario a trasformare risparmio in investimenti, ma questo è altro tema).

A ben vedere, però, non è l’unica contraddizione. A fronte della tesi che la causa dei nostri mali (proprio tutti, nessuno escluso, beninteso) sia il vincolo del cambio fisso (e quindi della sua sopravvalutazione rispetto ai principali Paesi concorrenti dell’eurozona), da un lato si omette di rilevare che detto “surplus” sia originato sostanzialmente da scambi commerciali extra europei e, dall’altro, si giustificano le proteste trumpiane (e il ricorso ai dazi sulle importazioni) per via dell’eccesso di debolezza del cambio euro/dollaro per effetto della politica monetaria della BCE! Autarchia sovranista e autolesionismo finanziario, insomma.

La lettera del premier Conte contiene infine anche altri spunti meritevoli di commento (critico). I principali sono – a parere di chi scrive – tre. Il primo è l’assenza (quasi imbarazzante, leggendo il testo; forse imbarazzata, in chi l’ha scritto) di riferimenti concreti numerici e/o ad azioni specifiche di intervento correttivo sui conti pubblici. Il secondo è il tentativo (già accennato all’inizio) di “mandar palla in tribuna”, spostando il tema su una necessità (in sé anche plausibile, come intento generico) di riformare l’impianto europeo, migliorandolo. Solo, palesemente fuori tema e, come uno studente impreparato di fronte all’interrogazione, strumentalmente mirato a schivare la rigida applicazione delle regole attuali. Moscovici ha già commentato che aspettavano una lettera “sul rispetto delle regole” attuali, non “sulle regole” da cambiare.

Il terzo consiste in alcuni passaggi consequenziali (palesemente) discutibili (per non dire errati del tutto, ad avviso di chi scrive). Del richiamo al “surplus” tedesco, si è già detto; del tema della disoccupazione, di quello della concorrenza fiscale e di quello del settore finanziario, si va a dire. La retorica di una politica europea che miri più ad obiettivi sociali e di occupazione, invece che ad obiettivi economici e finanziari, fa sicuramente presa sui non addetti ai lavori, ma poggia su un presupposto inveritiero (il trend della disoccupazione su base europea è in diminuzione, negli ultimi anni; sono solo alcuni Paesi – periferici – a soffrirne in maniera rilevante, per cause essenzialmente endogene) e su una percezione errata (meno austerità, quindi più deficit, perciò automaticamente maggiore sviluppo economico), quando invece sono gli obiettivi di stabilità economica e finanziaria che permettono le condizioni (soprattutto imprenditoriali) per creare sviluppo duraturo nel tempo.

La retorica del dumping fiscale intracomunitario è anch’essa di facile narrazione, ma altrettanto fallace sia per il fatto che strumenti quali i ruling per investitori esteri o i patent boxes o altre forme di “attrazione fiscale” (la norma sui non residenti, “per capita tax” a cifra fissa quale che sia il reddito, introdotta dal precedente Governo PD; la norma sui pensionati stranieri, introdotta da questo Governo) le abbiamo anche in Italia, sia perché dette erosioni della base imponibile – favorite anche da alcuni Stati europei (a volte, ad onor del vero, illecitamente ottenute) – non sono affatto la (vera) causa che “mina la capacità degli altri Stati membri di conseguire sane politiche di bilancio”, né per dimensione quantitativa e né, soprattutto, per correlazione causa-effetto.

La retorica, infine, della “condivisione dei rischi”, della “mutualizzazione” attraverso strumenti come gli Eurobond, della “visione olistica (sic!) dei rischi finanziari” che porterebbe a una (auspicabile, quest’ultima) “unione bancaria europea” più efficace, è tanto affascinante quanto irrealizzabile fintanto che permarranno così grandi differenze di solidità (e di rischiosità) dei sistemi bancari nazionali e dei debiti pubblici. Più esplicitamente, prima occorre risolvere i problemi interni (rectius, rispettare i percorsi di risoluzione concordati), poi si può concorrere in processi di assicurazione reciproca. E, per l’appunto, la procedura di infrazione cui la lettera risponde (e che verrà valutata da tutti i Paesi membri, non solo dai “burocrati” della Commissione) nasce da una violazione di un percorso di risoluzione (traiettoria di riduzione del Debito pubblico) concordato (anche da questo Governo).

Come verrà valutata questa (non) risposta, è ancora presto per dirlo. Nel frattempo, però, con minore clamore mediatico, accadono alcuni ulteriori fatti, qui esposti in rapida successione. Borghi afferma che i Minibot potrebbero vedere la luce nella Legge Bilancio (sul punto occorre qui far presente che l’art. 1277 del nostro codice civile riporta che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale). Viene presentata una proposta di Legge che riformerebbe la governance della Banca d’Italia, sottoponendo le nomine del Governatore e del Direttorio a maggior influenza del Governo pro tempore in carica. La Cassa Depositi e Prestiti emette un nuovo bond da 1,5 miliardi e fissa l’assemblea per la distribuzione di circa 950 milioni (al MEF). Perdura tuttora l’incertezza sui saldi di bilancio che verranno inseriti nel DEF e la sorte delle già previste clausole di aumento IVA.

Insomma, l’incertezza (rectius, l’ambiguità) pare essere il segno di questi mesi; se vincerà la linea del duo Bagnai & Borghi o se alla fine reggerà la linea più conservativa del ministro Tria, i risultati rischiano di essere (ben) diversi. E, mosse della BCE di Draghi a parte, che qualche sollievo stanno dando alle pressioni sui tassi, resta il rischio – se non cade prima il Governo – di un “uno-due” (molto) azzardato: un nuovo condono generalizzato, per fare cassa e disinnescare la mina della procedura di infrazione, seguito però poi da norme tese ad un maggior controllo sui movimenti dei capitali, indirizzate a favorire il ricorso ad una sorta di “prestito forzoso” (e, nelle intenzioni di qualcuno, forse, a creare le condizioni per il famoso “Piano B”).