Non si respira proprio un’aria serena a Palazzo Chigi e dintorni. Il ritornello è sempre lo stesso.
Conte non può fare il dittatore. Quando vuol prendere una decisione deve ricordarsi che l’Italia è una repubblica parlamentare. Significa che Camera e Senato debbono essere informate e sul tema si apre una discussione anche aspra, se volete, ma pur sempre un dibattito. Questo stato di fatto non piace solo all’opposizione.
Anche una parte della maggioranza storce la bocca e chiede al premier un maggior coinvolgimento del Parlamento. Primo tra questi è lo stesso ministro degli Esteri che pone dei distinguo che non sono di poco conto.
Ad esempio sul problema dei migranti che continuano a raggiungere a migliaia le nostre coste, tanto che a Lampedusa è da giorni scattato l’allarme. “Non se ne può più”, dice il sindaco Salvatore Martello. “Da giorni siamo costretti a lasciare questi poveretti per la strada, perché i nostri centri di accoglienza scoppiano”.
Ecco allora il primo diverbio tra Palazzo Chigi e la Farnesina. Luigi Di Maio vuole bloccare le partenze, aumentare i rimpatri. Un deputato del Pd commenta: “Sono in fondo le stesse parole di Salvini che il Parlamento ha affidato alla magistratura”.
Come risponde Conte? Comprende che gli animi grillini sono esasperati perché vedono vacillare il loro potere e puntano il dito contro chi ha dimenticato l’abc della maggioranza. Come è abitudine, il presidente del consiglio sfoggia la sua arma migliore: quella della mediazione. Però è chiaro che su un tema del genere non si può temporeggiare all’infinito.
Gli sbarchi non sono l’unico problema che affligge Palazzo Chigi. Ne esiste anche un altro, più specifico: la scuola. Il ministro Lucia Azzolina è assai titubante. Un giorno prende una decisione, quello seguente la smentisce mettendo nel caos l’organizzazione e il futuro di quanti operano in questo settore.
Non c’è unanimità tra le due maggiori forze politiche che governano il Paese. La confusione è grande se si pensa che le scuole dovrebbero riprendere fra meno di un mese e mezzo. Allora c’è chi commenta e tuona: “O si trova una svolta definitiva o il declino sarà inesorabile”.
Titola stamane con grande ironia un giornale che non guarda con ostinazione l’esecutivo: “L’unica speranza si chiama Speranza (Roberto)”. Si parla del distanziamento, un’altra questione su cui il dibattito si fa sempre più acceso. Molti in questo mese di agosto e anche prima sembrano aver dimenticato i principi basilari di un simile orientamento.
Ma pure chi deve decidere si fa prendere la mano e diventa “più buono” salvo a fare una precipitosa marcia indietro nel giro di ventiquattro ore. E’ quanto è accaduto sui treni e sugli aerei. Prima si concede al distanziamento una tregua; poi subito dopo i dati del virus tornano ad allarmare e allora si torna si torna sui propri passi una conversione ad “u”.
Lo stesso si deve dire sulle mascherine. Al proposito le divergenze sono profonde tra il premier e Salvini che dice: “Si vuol togliere la libertà agli italiani”. Dal Colle il Capo dello Stato spiega: “Libertà non vuol dire far ammalare gli altri”.
Insomma, nemmeno ad agosto la “guerra delle polemiche” accenna a diminuire. Si può comprendere in parte perché a settembre si vota in sette regioni importanti dell’Italia e questa consultazione potrebbe essere determinante per il governo. Non è poco.