Coronavirus Italia, le verità indicibili (e inascoltabili)

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Agosto 2020 - 10:17 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus Italia, le verità indicibili (e inascoltabili)

Coronavirus Italia, le verità indicibili (e inascoltabili) (Foto Ansa)

Coronavirus Italia, di verità indicibili da parte dei ceti e gruppi dirigenti (?) e, ancor più, inascoltabili da parte della cosiddetta gente ce ne sono almeno tre.

Verità sul coronavirus Italia che non riguardano l’aspetto clinico o epidemico del virus, riguardano l’Italia ed è per questo che son verità, anzi dati di fatto, a scarsissimo successo di pubblico e a bassissima audience.

SOLDI PER TORNARE A COME PRIMA

Primo dato di fatto: l’intera volontà collettiva, la somma delle volontà di categorie, gruppi, professioni, attività è unanime e concorde. Tutti vogliono tornare come prima. Al negozio di prima, ai consumi di prima, alla produzione di prima, agli uffici di prima, ai contratti di prima, ai valori di prima, alle quotazioni di prima…L’Italia economica e sociale nei fatti chiede, esige, aspetta di tornare a come prima. Talvolta ne dispera di poter tornare a prima. Ma altro non concepisce, non elabora che a prima tornare. Di fatto altro non vuole e/o non sa volere.

Ma il mondo economico e sociale del paese di prima non andava per nulla bene.

E i suoi connotati (scarsa produttività, eccesso soffocante di reti di protezione per aree di rendita, prima fra tutta la Pubblica Amministrazione, diffusa e accettata indisciplina fiscale, ragnatela di contro e contro contro poteri, sistema politico col grave e strutturale handicap della incompetenza a tutto del suo personale, specializzazione delle varie lobby e corporazioni nella suzione di pubblico denaro, disprezzo di massa e di fatto per reale formazione scolastica e universitaria, promozione a diritto acquisito all’assistenza e alla rendita…)non reggono e non reggeranno all’impatto appunto economico e sociale della pandemia planetaria. Già non reggevano prima…

Ma quei connotati la gente, la pubblica opinione, i partiti politici, il Parlamento, i sindacati, il governo, l’opposizione, le categorie professionali, il pubblico impiego, le partite Iva. i commercianti, i commercialisti, gli avvocati, gli ambulanti, i calciatori, i giornalisti, i metalmeccanici, gli agricoltori, gli insegnanti…nessuno di fatto li vuole cambiare. Tutti, proprio tutti, chiedono sussidi, soldi, finanziamenti, assunzioni per…ricominciare come prima.

L’idea di utilizzare fondi, soldi e miliardi per cambiare i connotati produttivi e di sistema non convince, non seduce. Anzi indispettisce se davvero si fa la minima mossa di farla diventare cosa concreta. Tutta la collettività sociale italiana è una gigantesca catena in cui ogni anello tiene saldamente ancorato il paese a quel che era ed è. I soldi della Ue, della Bce o del governo o di quel che sia tutti li vogliono per finanziare il ripristino, magari più comodo o più assistito, dell’esistente. Mai, proprio mai per altro. 

E il tutto in un minuetto di ipocrisia non poco untuosa: ogni scritto e discorso ufficiale e pubblico parla e giura dell’impossibilità di tornare a prima e della opportunità storica di cambiare i connotati al paese, ogni atto pubblico e privato va nella direzione opposta. 

CORONAVIRUS ITALIA, POSTURA PIAGNONA

Secondo dato di fatto: la narrazione la postura della comunità sono quelle del pianto, una comunità unanimemente piagnona. Tutti i tavoli di confronto, proprio tutti, hanno un solo argomento: quanto e quando arrivano i soldi. Senza soldi non si cantano Messe…ma nessuno, proprio nessuno, a quei tavoli sente l’obbligo di proporre, pensare altro che la richiesta di denaro.

Comuni, Regioni, sindacati, imprese, commercio, turismo, famiglie, scuola…tutti portano ai tavoli di incontro la lista della propria spesa. Nessuno sembra voler neanche sapere che quella lista è orfana di colonne a lato: soldi per fare cosa, chi li spende, in quanto tempo, con quali progetti e, soprattutto, quella spesa cambia o no i connotati ad una parte del sistema paese? Nessuno sembra volersi rendere conto che se quelle colonne restano vuote i soldi neanche arrivano.

CORONAVIRUS ITALIA, DEBITO E RENDITA

Terzo dato di fatto, certo difficile da percepire ma ineluttabile: il debito che su scala planetaria tutti stanno facendo in misura questa sì storica in qualche tempo e in qualche forma andrà ripagato. Debito lo puoi ripagare aumentando produttività, efficienza e ricchezza prodotta a velocità maggiore o pari di quella con cui viaggia il debito stesso.

Oppure, ineluttabilmente, il debito si ripaga, si asciuga attraverso un meccanismo inflattivo/deflattivo per cui il valore reale del debito scende. Ciò significa per una collettività che in larga parte vive di rendita (sì, l’Italia) veder calare il valore delle proprie rendite, immobiliari e/o finanziarie che siano. E giù anche il valore delle rendite di natura assistenziale. Tradotto: se non cambiamo i connotati al produrre, le nostre pensioni o case o redditi di cittadinanza vari varranno di meno, non poco di meno.

DECENNI SOPRA LE POSSIBILITA’

Quarto, ultimo ma non ultimo: il vero che se lo dici hai tutti contro perché è vero. Dopo circa quattro decenni in cui il paese ha vissuto, consumato, risparmiato, accumulato al di sopra delle sue possibilità la pacchia è davvero finita. O il sistema Italia impara in fretta ad essere altro da ciò che è stato da almeno 40 anni e quindi amplia le sue possibilità, oppure il livello di vita che consideriamo irrevocabile non sarà in fretta più sostenibile.

Qualcuno ha la vaga percezione che i 100 miliardi finora dal governo irrorati in bonus, cassa integrazione e sussidi vari sono stati presi dal cassetto debiti? E qualcuno ha la vaga sensazione di chi davvero quel debito lo ha comprato? E qualcuno ha la vaga nozione di cosa significa che il compratore sia stato la Bce? Tre no di massa sono la risposta alle tre domande.