Crisi e sviluppo: fisco e tagli, ma “dopo”, al momento giusto

di Gustavo Piga
Pubblicato il 27 Agosto 2012 - 10:19| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Gustavo Piga ha scritto sul suo blog un commento sulla “stupida austerità”.

L’articolo prende lo spunto da un’idea: il confronto fra il comportamento dei genitori di un cattivo studente, suggerito dal buon senso, e quello auspicabile da chi gestisce l’economia di un Paese.

Prendiamo il caso di un ragazzo che non studia bene, forse non ne ha voglia, forse non ha la concentrazione necessaria, forse ha pessimi insegnanti, forse l’ambiente circostante non rende le cose semplici. I genitori si preoccupano e mettono in atto una strategia lenta e costante che darà – se ben ideata – i suoi frutti nel tempo, per migliorare la sua capacità di studio fino al livello ritenuto consono.

Gli sforzi e le rinunce che i genitori chiedono al ragazzo e anche a loro stessi possono essere definiti

investimenti o cambiamenti, hanno tutti le caratteristiche comunque di rinunce oggi per un migliore futuro domani, un futuro che certamente necessiterà di tempo per materializzarsi.

Ma se i genitori hanno ben lavorato si materializzerà. E’ probabile anche che il ragazzo

acquisisca una forza mentale che gli permetterà di fronteggiare meglio, nel futuro, alcune situazioni di disagio temporaneo.

Il disagio può venire da un qualunque stato di febbre, di infezione o anche qualcosa di più serio, che richiede

medicine, cure, terapie, ma anche intrattenimento per distrarlo dalla sofferenza.

Certamente i genitori non gli chiederanno di mettersi a studiare, mentre è malato, perché sanno che se, mentre è a letto,

invece che Topolino o Dylan Dog gli dessero da leggere Pascoli o i Promessi Sposi. E’ possibile anche che diventi più refrattario allo studio se questo viene legato a spiacevoli memorie come quelle di una inutile imposizione. E’ possibile anche che guarisca peggio se non si riposa. Notate che queste febbri richiedono un approccio molto diverso da parte dei genitori: questi devono essere certamente meno esigenti e più comprensivi dei loro figli che non in caso degli sforzi di cui sopra. E non c’è dubbio che un ragazzo più maturo, come dicevo sopra, ha gli strumenti per spaventarsi di meno di fronte a queste malattie e dunque ad uscirne fuori più rapidamente.

Il paragone si sposta sull’economia.

Esistono anche nelle economie le febbri, chiamate congiunture di breve periodo, e le carenze o ritardi strutturali di lungo periodo, che necessitano di riforme che abbiano un impatto duraturo. Non solo ognuno di questi problemi richiede i suoi rispettivi strumenti, atteggiamenti e tempi diversi per essere risolto, ma è vero anche che chiedere ad una economia indebolita dalla congiuntura di fare sforzi, riforme, anche giuste nell’ottica del lungo periodo, può rivelarsi controproducente e è vero anche che sprecare i momenti di buona salute per non fare gli sforzi di lungo periodo può rivelarsi altrettanto pericoloso (pensiamo solo a tutte le riforme che i paesi europei non hanno effettuato negli anni di vacche grasse di espansione del PIL, compresa la riduzione del debito pubblico).

Il nodo è questo, semplice e ineludibile. Anche se non sono disponibili

dati che dimostrino che fare consolidamenti fiscali durante una congiuntura negativa è un errore che mette a repentaglio anche il lungo periodo di quel Paese, e non abbiamo quindi il cosiddetto controfattuale, il “cosa sarebbe successo se avessimo fatto diversamente”,

ci sono però dei modelli che hanno consentito simulazioni che sono quanto meno illuminanti.

Così è stato fatto da quattro economisti che lavorano in Gran Bretagna. Hanno provato a verificare le due possibili evoluzioni dell’economia inglese

da qui al 2021 se la (necessaria nel lungo periodo) riduzione della spesa pubblica venisse effettuata oggi nel mezzo della crisi oppure gli interventi saranno rinviati a quando il Paese sarà fuori dalla congiuntura, tra 3 anni. La perdita cumulata di PIL dal 2011 al 2021 nel primo caso risulta del 16% di PIL reale in meno e con un tasso di disoccupazione dell’1% più alto ancora nel 2019 rispetto al caso di politiche fiscali che abbiano aspettato la ripresa prima di mettere in atto il dimagrimento fiscale.