Contro la legge-bavaglio, il coraggio di due donne: la sorella di Cucchi e la madre di Aldovrandi

Pubblicato il 18 Giugno 2010 - 13:45 OLTRE 6 MESI FA

Federico Aldrovandi

Ilaria Cucchi e Patrizia Aldrovandi sono due signore accomunate dalla tragedia di aver perso, l’una il fratello, l’altra il figlio, uccise dalle botte e dalle bugie di poliziotti infedeli e di medici senza scrupoli. Non contenti, i loro esecutori si sono nascosti dietro superiori reticenti, colleghi omertosi, giornalisti compiacenti.

Il loro calvario è fatto anche da ingiurie e minacce ricevute, dal tentativo di scaricare la colpa sui morti, perché se la sarebbero cercata, perché erano comunque ragazzi difficili e perché comunque è sempre meglio tirare i calci ai deboli che ribellarsi alla logica dei clan e dei gruppi chiusi.

Ilaria e Patrizia, con loro tutti i familiari, non hanno piegato il capo, si sono ribellate, lo hanno fatto con tutte la forza che può avere in corpo una donna ferita e oltraggiata, e hanno deciso di ribellarsi alla logica dell’oscuramento e del bavaglio.

Hanno aperto i loro blog, hanno pubblicato le foto dei corpi sfigurati dei loro cari, hanno diffuso i documenti che stavano agli atti, hanno trovato avvocati generosi e capaci, hanno incontrato giornaliste e giornalisti, hanno sfondato il muro del silenzio.

Nel processo Aldrovandi, morto a Ferrara, dopo le botte che gli furono somministrate da quattro poliziotti, sono ora arrivate le prime condanne. Nel processo Cucchi sono stati disposti i primi rinvii a giudizio per 13 persone.

Da Ilaria e Patrizia è ora arrivato un lucido e appassionato appello affinché non sia approvata la legge bavaglio: «I nostri casi sarebbero restati avvolti nel silenzio, se non avessimo deciso di coinvolgere i media non avremmo mai avuto giustizia. Con la nuova legge tutto sarebbe restato sepolto in qualche cassetto».

Stefano Cucchi

Probabilmente sarebbero restate anche senza giustizia e dei loro figli si sarebbe persa anche la memoria. La loro privacy è già stata distrutta, il loro diritto alla riservatezza è già stata oltraggiato. La loro vita è già stata distrutta, ma purtroppo per loro non fanno parte della cricca, non hanno nomi altisonanti, non vivono nelle case di Anemone, non parlavano al telefono con lo Spatuzza di turno.

La loro lettera appello l’hanno inviata anche al presidente della Camera Gianfranco Fini e osiamo sperare che i ripensamenti di queste ore, la possibile decisione di prendere tempo e di rinviare tutto a settembre, possa essere stata condizionata anche da lettere e da storie come questa.

La federazione della stampa ha deciso di indire una grande giornata di protesta per il prossimo primo luglio a Roma, sarebbe davvero bello se cittadine e cittadini come Ilaria e Patrizia e tanti altri potessero e volessero salire su quel palco a raccontare la loro storie di persone che si sono davvero ribellate all’oscuramento e all’oscurantismo.